Mariella Arduini ha poco più di 20 anni, un concorso da insegnante vinto e «un diploma di maestra elementare appeso malinconicamente al muro». Alle elementari aveva trovato la sua vocazione. Da grande avrebbe fatto l’insegnante come la sua supplente preferita, Emilietta. Ma Mariella ha un’anima eccentrica, un comportamento ribelle, rifugge la staticità, lo squallore della routine. Proviene da una famiglia benestante. Vive in una provincia emiliana, Cavriago. A 20 anni ha già due figli, Andrea e Giovanni, e un marito, Walter, che da sei mesi lavora in Max Mara e che non ha nessuna dote economica da portare.
A Walter, neo laureato in Economia e Commercio, laurea presa solo per sfuggire all’obbligo militare, il lavoro da dipendente sta stretto. L’ambizione, una forte volontà e il suo ottimismo lo spingono a indebitarsi per acquistare un’azienda di abbigliamento per bambine. La sua è una intuizione fortunata.

Un guardaroba che cambia
Siamo all’inizio di una rivoluzione culturale, quella degli anni ’60, che ridefinisce la moda per bambini e, al contempo, quella femminile. Il guardaroba dei più piccoli è più libero, comodo e pratico. Disegnato su una palette di colori ampliata e su codici cromatici meno rigidi del passato. Sino ad allora i capi per bambini erano confezionati a casa, da mamme o nonne, o acquistati su misura grazie al lavoro delle sarte locali. Sono ancora pochi i laboratori di confezione che creano collezioni per questa fascia d’età.
«Ero certo di poter contare su un potenziale di mercato ancora inesplorato», ricorda Burani. Il viaggio di nozze, a bordo di una vecchia seicento, lo fecero visitando, da nord a sud, agenti del settore e prendendo accordi. Al rientro a casa, Selene S.n.c. – l’azienda produzione e distribuzione di abbigliamento per bambini- era già attiva.
Gli esordi non sono privi di ostacoli, come ricorda il fondatore. «Non mancarono le difficoltà, soprattutto riguardo l’approvvigionamento di materie prime, i tessuti». Riuscirono ad ordinare, dalla Lagler di Ponte San Pietro, merce per 16 milioni di vecchie lire. Ma l’ordine tardava ad arrivare mettendo a rischio l’intera collezione. Burani risultava infatti affidabile solo per 1 milione. L’ordine venne bloccato per mancanza di garanzie. Walter non accetta rifiuti. Si reca di persona dal titolare dell’azienda. Ne esce dopo aver conquistato la fiducia per l’intero ammontare della commessa.

«Quando sei molto giovane, spesso sbagli»
È il 1964. Mariella all’epoca non aveva obiettivi prefissati, «lavoravo solo per imparare». Non sapeva disegnare, ma aveva dalla sua creatività e immaginazione ereditata dai genitori. L’apprendimento comporta la possibilità di fare errori che Mariella corregge con pazienza e attenzione, provando e riprovando.
«Quando sei ai primi passi e non conosci bene i tessuti, è difficile assemblare i colori, accostare le stoffe, capire se è meglio procedere per contrasto o per affinità. Quando sei molto giovane, spesso sbagli». E, sappiamo, si sbaglia anche da adulti. «Molto si impara, anche gli errori ti insegnano».
Il successo sperato arriva in modo inatteso. L’azienda cresce. Alla linea per bambini si aggiunge quella per teenager, Selene Diciotto. Poco dopo Mariella disegna la linea dedicata alle donne. All’inizio con scarsi risultati perché «ho cercato, con scarsa convinzione, di adeguare le mie linee» al gusto dell’epoca, alle aspettative del mercato, alle attese dei critici. Il suo stile non piace. Mariella non vuole usare il suo cognome, opta per quello del marito. Per le prime due collezioni la linea femminile viene presentata al mercato con il brand Mariella B. È con la terza collezione che nasce Mariella Burani e, con essa, matura la scelta di abbandonare progressivamente i settori dell’abbigliamento per bambine e per teenager.
Mariella riesce a conquistare il pubblico ma viene snobbata dalla critica di moda, per le stesse ragioni per cui è amata dalle donne che veste: spirito di provincia e atteggiamento da ribelle. Si definisce perfezionista, lavora con i piedi piantati per terra ma costa fatica. «Non cerco e non ho mai cercato il plauso della stampa. Il riconoscimento del pubblico aiuta a sopportare il peso. Che fatica però farsi accettare, conquistare il diritto all’originalità, al proprio stile, superando l’ambiente in cui si è cresciuti».
Se è facile avere successo conoscendo una tendenza e scommettendo su di essa, più difficile è avere successo inventandone una nuova e andando controvento. Mariella infatti disegna vestiti sentendoli più che pensandoli. «Conosco le tendenze ma non le seguo». Non ama ciò che è troppo perfetto, pertanto banale. «A me piace che la donna si dimostri un essere umano, per cui abbia, non dico qualcosa fuori posto, ma qualcosa di imperfetto. Amo l’imperfezione che connota e dà senso al mio fare». Nel tratteggiare le pieghe di un abito non ha in mente il manichino che lo indosserà, ma una donna vera che «piange, ride, gioisce, soffre». Vedendo donne vestite con una loro immutabile perfezione, Mariella si chiede se sono davvero felici.

Mariella Burani, l’ambasciatrice del lusso accessibile
Negli anni ’80, più di qualsiasi altro decennio, il Made In Italy si afferma e si consolida. Sono gli anni dell’ascesa di grandi stilisti: Krizia, Ferré, Gucci, Prada, Moschino, Missoni, Dolce & Gabbana, Gucci, Valentino, Prada, Moschino, Trussardi, Armani. L’origine di ogni tendenza fashion si sposta a Milano, che diventa la capitale della moda, scalzando Parigi e Londra. Il successo di Mariella Burani si consolida in questi anni, sebbene la stilista si ponga in contro tendenza rispetto ai suoi colleghi. Mariella è la portavoce di un ossimoro: lusso accessibile. Un sogno con un prezzo alla portata della maggioranza.
«Scelgono le mie mise come antilook per eccellenza. Del resto non frequento il mondo della moda. Vesto le donne che non vogliono saperne delle divise firmate. Non vogliono essere asservite a questo e a quel look». La sua routine è scandita da due soli tempi, il tempo dedicato al lavoro e il tempo dedicato alla casa e alla famiglia. «Faccio questo mestiere e cerco di farlo al meglio. Siamo sempre di corsa. Della mondanità non mi importa niente. Quando mi spingo a qualche festa, soffro e penso che sto perdendo il mio tempo». È in questi stessi anni che l’azienda segmenta il mercato con l’inserimento di altre linee, apre negozi monomarca in Italia e consolida la sua presenza internazionale.
Nel 1999 Mariella Burani è presente con 21 negozi monomarca, di proprietà del Gruppo, e 54 negozi monomarca in franchising posizionati nelle più prestigiose città del mondo e, in particolare, nelle vie e nelle locations «dove sono collocati i punti vendita delle più note brands del lusso mondiale che favorisce la notorietà della Collezione Mariella Burani».
Mariella inaugura boutique all’estero, pur rimanendo in terra padana perché spiega di stare bene nel suo mondo, a Cavriago. «Qui lavoro e trovo le idee per i miei abiti. Non starei bene da nessuna altra parte». Non è forse un caso che la stilista cederà al richiamo della passerella solo nel 1993. Ha iniziato a sfilare tardi perché, afferma, «affrontare quegli implacabili appuntamenti mi metteva paura. Sfilare è una sfida, l’impegno di una vita si risolve nell’attimo della messa in scena».

Un player mondiale a gestione familiare
Mariella Burani è fra le prime aziende a capire l’importanza delle licenze. Nel 1988 stipula con Valentino, «dal quale ho imparato l’importanza dei dettagli e della lavorazione artigianale», un accordo di produzione e distribuzione per le collezioni Carisma e Carisma Rouge. Diventa licenziataria per il marchio Gai Mattiolo e di Calvin Klein. A cui seguono altre acquisizioni, l’azienda di maglieria Dimensione Moda e l’Internet provider, Sedoc-Trading.
«Quando ha iniziato il suo lavoro di stilista avrebbe mai pensato di arrivare a essere uno dei gruppi leader in Italia per la moda?». È la domanda che una giornalista della rivista Profilo Donna pone alla stilista nel 2006. «Sinceramente no. Ma il merito è tutto di mio marito e dei miei figli che hanno saputo organizzare al meglio l’azienda fin dai primi anni 90 e in seguito hanno saputo incrementare il nostro potenziale con contratti e acquisizioni importanti portando il nostro Gruppo in Borsa».
Nonostante la congiuntura economica, il Gruppo è in forte crescita. «Tra le operazioni più importanti realizzate in questi ultimi anni vorrei ricordare oltre all’ingresso in Borsa nel luglio del 2000, l’acquisizione di una delle aziende italiane più rappresentative: Mila Schön, l’espansione continua della divisione leather goods tramite la creazione di Antichi Pellettieri e le acquisizioni di Baldinini (calzature di lusso), Mario Cerruti (calzature di lusso), Enrico Mandelli (abbigliamento in pelle), Mafra (calzature di lusso), le acquisizioni di altre importanti società sia di abbigliamento che di gestione spazi commerciali e ancora le aperture di almeno trenta boutiques nel mondo».
Nel corso del 2008 sono state inaugurate 86 boutique mono-marca. La rete distributiva del Gruppo si componeva di 129 DOS (punti vendita diretti) e 264 Franchisees. Al 31 dicembre del 2008 il gruppo Mariella Burani Fashion Group deteneva 14 marchi propri, tra cui Coccinelle, Braccialini, Mandarina Duck e 22 marchi in licenza. Tra i marchi più noti, una delle linee di Vivienne Westwood e Ungaro, Alviero Martini, La Perla, Galliano. Un player mondiale con un management a conduzione familiare nel cuore della provincia emiliana.

Nel prospetto informativo di accompagnamento dell’offerta pubblica in occasione della quotazione in Borsa, si sottolinea l’importanza del management dell’epoca per il successo dell’azienda. «Il successo del Gruppo dipende in modo rilevante dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Società, Walter Burani, e dagli Amministratori della Società, Giovanni Burani e Andrea Burani e della Direttrice Creativa, Signora Mariella Arduini in Burani. Qualora taluno dei predetti soggetti dovesse interrompere la propria collaborazione con il Gruppo, quest’ultimo potrebbe non essere in grado di sostituirli tempestivamente con collaboratori in grado di assicurare il medesimo apporto e i risultati economici del Gruppo potrebbero esserne influenzati negativamente».
Management e stilista non sono mai stati sostituiti. Ad oggi tutte le società collegate alla famiglia Burani sono fallite. Scrisse Hemingway: «Come sei andato in bancarotta? In due modi. A poco a poco, poi all’improvviso». Come l’impero di Mariella Burani sia arrivato al fallimento, lo sveleremo nella prossima sessione.