“Codice Valore: voci contro la violenza digitale” è il nostro progetto editoriale che andrà online da oggi per tutto il mese di novembre. Per capire cosa e chi si nasconde dietro il lato più oscuro della rete. Per costruire una cultura digitale più umana e responsabile. Quattro interviste, quattro volti, quattro punti di vista a confronto.
Sono violenze che per loro natura, data la rapidità con cui germogliano e si propagano, hanno molte più possibilità di moltiplicarsi che di esaurirsi, ma la loro quasi completa invisibilità statistica impedisce di realizzarne gravità e vastità. Finché, un giorno, una crepa buca il sommerso, che si rovescia sul tavolo e rivela, allora, all’improvviso, gruppi come Mia moglie e Phica e la loro rete di abusi incredibilmente estesa. Non esistono dati nazionali sistemici e aggiornati sulla violenza on line nella complessità delle sue manifestazioni – cyberstalking, cyberbullismo, revenge porn, doxxing, hate speech -, sebbene più fonti rivelino che sono in aumento. Perché? Chi ne è responsabile? Chi vittima? Ne parliamo con Matteo Flora, imprenditore, docente universitario e presidente di PermessoNegato, organizzazione non-profit che dal 2019 offre supporto alle vittime di condivisione non consensuale di materiale intimo attraverso un team di professionisti, tra cui avvocati, criminologi, psicologi, esperti di reputazione online e sicurezza informatica.
Non basta che i dati più completi restino nelle mani delle piattaforme. Quali sono le ragioni di base per cui è difficile tenere traccia in modo sistemico della violenza on line?
Tendenzialmente perché si tratta di crimini che implicano una fortissima dimensione di vergogna, per cui chi ne è vittima non denuncia e neanche ne parla. Sopravvive, poi, una diffusa e paradossale tendenza a ritenere responsabile della condivisione di materiale intimo chi quel contenuto lo ha prodotto ed è poi diventato vittima. Il pensiero è: “Se l’è cercata. Se lei non si fosse fatta quello scatto nuda e non lo avesse mandato al fidanzato, non sarebbe successo nulla!”, nel più scontato copione di vittimizzazione secondaria. Così la vittima è scoraggiata dall’uscire allo scoperto. A ciò si unisce una certa sfiducia nel ritenere che la denuncia alle istituzioni di un abuso on line possa avere un effettivo impatto sui responsabili, nonché la paura che i responsabili stessi possano vendicarsi, a seguito della denuncia, attraverso violenze fisiche. Aggiungo che – noi lo vediamo attraverso lo sportello di orientamento legale – c’è ancora un’enorme ignoranza sul fatto che la condivisione di materiale intimo senza il consenso della persona è reato, indipendentemente dal fatto che si sia stati o meno gli iniziatori delle condivisioni. E questa inconsapevolezza tocca anche le vittime, che dunque non sanno che possono denunciare.
Nel 2023 PermessoNegato ha compiuto una ricerca sulla diffusione di materiale intimo non consensuale su canali Telegram creati proprio con l’obiettivo di individuare, diffondere, scambiare questo tipo di materiale, inclusi contenuti pedopornografici. Quali aspetti reputa più interessanti per capire il fenomeno?
Telegram è diventato il rifugio di tutti quei gruppi che si vedono respinti dalle piattaforme più grandi. A me disturba in modo particolare che chi distribuisce questo tipo di contenuto sia completamente assolto dal gruppo. Di più: non solo non viene percepito come un violento che compie azioni deplorevoli, ma è osannato e acquisisce addirittura l’aura di figura eroica. Del resto, anche gli utenti stessi che condividono materiale intimo non consensuale non sono toccati dallo stigma sociale: per paradosso, nella percezione comune dei più, l’idea è che non siano consapevoli di compiere, oltre che una cosa orribile, un reato. E, invece, loro lo sanno. Lo sanno benissimo, ma non gliene importa. E continuano a farlo, sistematicamente. Io credo che questa sottovalutazione collettiva dei danni reali che certe azioni compiute online provocano sulle persone sia un problema molto serio: una storica ricerca neozelandese ha rilevato che il 51% delle vittime di esposizione di materiale non consensuale pensa come prima soluzione al suicidio.
Avete messo in luce tre specifiche pratiche: lo scambio, spesso in forma privata, di materiale intimo (“chi scambia la propria ragazza?”; “scambio ragazze 2008, 2009, 2010 per lo stesso”), l’autoerotismo compiuto su foto o video inviati senza consenso, il cosiddetto “sputtanala e repostala”, pratica che punta a denigrare e umiliare la vittima davanti al maggior numero di persone. Che dimensione ha questo fenomeno? E chi sono le persone che lo alimentano su Telegram?
Il monitoraggio costante che compiamo ci permette di dire che tali pratiche sono in continuo aumento. Del resto, questa piattaforma ha il vantaggio di consentire di creare gruppi con migliaia di utenti garantendo il totale anonimato, poiché per iscriversi non è richiesto di condividere nessuna informazione personale. Monitorati 147 gruppi e canali, con un totale di 16.883.722 utenti unici, abbiamo compiuto uno studio su 7 gruppi con l’analisi di 331.837 messaggi: abbiamo rilevato che la maggior parte dei membri che popolano questi gruppi/canali sono di sesso maschile, italiani, e l’età varia da 11 a 60 anni.
Una delle declinazioni di questo reato è il Sextortion, ovvero un estorsione che si verifica quando viene chiesto tendenzialmente denaro per bloccare la diffusione del materiale. Avete compiuto la prima ricerca sul tema. Risultati?
Tra il 2020 il 2024 abbiamo documentato oltre 1000 casi di Sextortion in Italia e, se nel caso di condivisione di materiale intimo non condiviso le vittime sono nella stragrande maggioranza donne e persone LGBTQ+, rispetto ai casi di Sextortion il 90% delle vittime è maschio, molto probabilmente perché gli uomini hanno maggiore disponibilità finanziaria. Gli autori del ricatto ottengono materiale come foto e video intimi e minacciano le vittime di pubblicarlo online o inviarlo a familiari e amici, se non ottengono quanto chiesto. Nell’ultimo anno il numero delle segnalazioni è raddoppiato rispetto all’anno precedente.
Ma secondo lei quanto è vasto il sommerso rispetto a ciò che emerge?
Da una ricerca che abbiamo fatto qualche tempo fa è risultato che il 10% per cento delle persone vittime di estorsioni chiede aiuto o denuncia, ma io credo che la percentuale sia ancora più bassa: i restanti pagano o, se non possono, fanno finta di niente, si isolano, chiudono gli account, pensano di finirla così, senza però considerare che le loro immagini continueranno a girare. Il fenomeno è estremamente redditizio. In ogni caso, anche chi paga – in genere si tratta di qualche migliaia di euro – non è affatto detto che ne esca: l’estorsore spesso torna, minacciando una nuova condivisione.
L’intelligenza artificiale come impatta su questi crimini?
L’intelligenza artificiale sta generando un’esplosione, oltre che dei contenuti intimi, anche dei tentativi di adescamento, perché l’adescamento attraverso l’intelligenza artificiale è diventato, ormai, un’attività estremamente semplice ed economica da realizzare: se prima occorreva costruire una rete di operatori che andavano a setacciare precisi spazi alla ricerca di singole vittime, oggi gli estorsori utilizzano l’intelligenza artificiale per chattare in qualunque lingua, 24 ore su 24, con migliaia di persone in contemporanea. Quello che mi auguro è che, poiché qualunque corpo può essere oramai generato in qualunque modo, con il tempo emerga una desensibilizzazione diffusa, una perdita di interesse al corpo denudato o esposto in contesti pornografici. Quanto all’adescamento on line, sappiamo che le vittime di Sextortion stanno via via realizzando di dialogare con un interlocutore in qualche modo strano, che fa scattare in loro qualche campanello d’allarme.
Educazione al consenso ed educazione al digitale sono due pilastri della prevenzione. Secondo lei cosa dobbiamo ancora capire, collettivamente, perché le azioni di prevenzione possano essere efficaci?
Dobbiamo avere molto chiaro che gli abusi e le violenze perpetrate nella dimensione digitale hanno conseguenze, e spesso devastanti, per le vittime, anche nella vita fisica: io credo non ci sia consapevolezza sociale di tale impatto. Allo stesso modo, poiché non conosciamo la dimensione di violenza che in certi spazi della rete viene esercitata, non riconosciamo in chi la esercita il soggetto pericoloso che in realtà è, un soggetto dunque da condannare, da ostracizzare, da isolare.