«La gentilezza è una leva di innovazione. Sempre più aziende e enti pubblici la riconoscono come soft skill»

«La gentilezza è una leva di innovazione. Sempre più aziende e enti pubblici la riconoscono come soft skill»

«La gentilezza non va intesa banalmente come un atto gratuito. Io mi attengo a una visione più pragmatica e realistica: è un strumento di sostenibilità sociale, una leva di innovazione». In occasione della Giornata mondiale della gentilezza, che si celebra oggi giovedì 13 novembre, StartupItalia ha intervistato Natalia Re, presidente del MIG, Movimento Italiano per la Gentilezza. Questa realtà ha di recente presentato una proposta di legge per un Kindness Act. «Negli ultimi decenni c’è stato un grande dibattito su come calcolare il PIL. Con l’introduzione della gentilezza come nuovo BES (indicatori utilizzati dall’Istat per misurare il benessere, ndr), l’Italia darebbe un forte segnale di impegno verso la costruzione di una società più inclusiva, rispettosa e solidale, enfatizzando l’importanza dei comportamenti quotidiani che contribuiscono al miglioramento del vivere comune».

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Come nasce il Movimento Italiano per la Gentilezza?
Tutto è partito nel 2001, a Parma, grazie a due coniugi. Sono Marta e Giorgio Aiassa. Dopo aver scoperto dell’esistenze del World Kindness Movement, la nostra casa madre, hanno fondato il MIG. Siamo attivi in quaranta Paesi e qui in Italia Giorgio Aiassa ha dedicato la sua vita alla gentilezza, anche in ambito aziendale.

Come ha intercettato il MIG?
Sono entrata nel Movimento nel 2023. Nel corso della pandemia ne ero venuta a conoscenza e anche il MIG ha scoperto alcune campagne di sensibilizzazione che stavo portando avanti. Oggi la sede è a Palermo. Per come la intendiamo, la gentilezza non è un atto gratuito. C’è qualcosa di più pragmatico e realistico: è uno strumento di sensibilità sociale da cui attendersi frutti positivi.

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Cosa intende lei dunque per gentilezza?
La intendo come strumento realmente di sviluppo sociale, a partire dal sè. L’impatto della gentilezza è comprovato in termini di riduzione della povertà culturale e materiale. È uno strumento utile al rafforzamento del senso di comunità. Le persone si sentirebbero più sicure e supportate se ci fosse più gentilezza.

Calata nel mondo delle aziende che effetti produce? 
La gentilezza è una leva di innovazione. A livello qualitativo e quantitativo incrementa il benessere interpersonale in un’impresa. Registriamo grande interesse da parte delle aziende, soprattutto le più grandi, che lavorano alla gentilezza come soft skill. È uno strumento di sviluppo anche negli enti pubblici. Cito l’esempio di Genova, che ha organizzato una scuola di formazione in questo senso e che propone proprio tale approccio.

Spesso si accusano i giovani di essere poco gentili, poco rispettosi. Ma le loro lacune non sono in realtà colpa degli adulti?
Non ci sono dubbi. Visitando le scuole i ragazzi mi restituiscono l’incapacità degli adulti di ascoltarli. E quando gli adulti non ascoltano le esigenze esplicite così come quelle non manifestate commettono l’atto dell’indifferenza. Tra i più pericolosi e difficili da gestire. Oggi in realtà molti ragazzi riscoprono in alcuni casi il galateo, proprio come riflessione sulle buone maniere, su una forma nuova di relazionarsi con l’altro.

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Ci sono Paesi più avanzati su questi temi?
Il Canada ha attuato politiche in questo senso. E negli ultimi 20 anni hanno fatto sicuramente scuola. Hanno cominciato nel 1988 con il primo Multiculturalism Act, legge che promuove la multiculturalità considerandola come valore fondante del Canada. Questo ha portato a promuovere maggiore integrazione, con effetti misurati nell’abbattimento di molte barriere di tipo culturale e razziale.

E come si inserisce questo dibattito sulla gentilezza nell’epoca dell’AI?
L’AI è, a mio avviso, una intelligenza generativa e non creativa. Risponde alle esigenze del singolo che la interpella. E se la carenza di gentilezza è insita nella persona, l’AI si comporta di conseguenza. Siamo noi umani che dobbiamo fare la differenza.