Dispatch, ecco come sarebbe dovuto essere Suicide Squad: brillante, ironico e con personaggi capaci di restarti dentro

Dispatch, ecco come sarebbe dovuto essere Suicide Squad: brillante, ironico e con personaggi capaci di restarti dentro

Capita sempre più raramente di trovare videogiochi con trame tanto appassionanti capaci di lasciare, quando completati, una sensazione di horror vacui difficile da riempire. I folli anti-eroi di Dispatch iniziano a mancare subito dopo lo scorrere dei titoli di coda e il giocatore avverte immediatamente il bisogno di un secondo capitolo.

Dispatch, l’eroico lavoro del centralinista

Sviluppato da AdHoc Studio, studio di sviluppo di videogiochi americano fondato nel 2018 da veterani del settore provenienti da Telltale Games, Ubisoft e Night School Studio, ovvero gli ex studenti di Telltale Michael Choung, Nick Herman, Dennis Lenart e Pierre Shorette, Dispatch è la perfetta trasposizione in salsa videoludica del comic statunitense a base di supereroi: è ironico, infarcito di personaggi affascinanti, adulto, volgarotto, per nulla politicamente corretto e zeppo d’azione ed esplosioni.

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Insomma, contiene tutto ciò che un adolescente in piena tempesta ormonale (ovvero il maschietto dai 15 anni agli… –anta) potrebbe desiderare. Ma soprattutto ci dà la possibilità di sperimentare sulla nostra pelle una frase che Peter Parker ben conosce: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, perché saremo noi a decidere in numerosi snodi cosa fare, senza possibilità di tornare indietro e con la consapevolezza che dalle nostre scelte potrebbe dipendere la vita di più persone. Ma riavvolgiamo la pellicola dall’inizio.

Una squadra che non quadra

In Dispatch impersoneremo Robert Robertson, alias Mecha Man, un supereroe fallito privo di poteri speciali che perde il suo robottone e si sente schiacciato dalle responsabilità e privato di uno scopo per vivere. Gli viene però concesso di entrare nel Superhero Dispatch Network (SDN), una agenzia che riunisce i migliori supereroi d’America e che ha al proprio interno un progetto, nome in codice Fenice (o Z-Team), scalcagnato e a rischio chiusura.

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Lo Z-Team non si compone infatti da eroi, ma da ex villain che hanno scelto di arruolarsi solo per evitare la prigione. A loro non frega assolutamente nulla del prossimo, tanto meno non sono portati alle buone azioni, agli atti eroici e alla collaborazione: anzi, si odiano, si sabotano l’un con l’altro e non ascoltano gli ordini.

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Il povero Robert dovrà provare a coordinarli nelle vesti del centralinista. E lì Dispatch inizierà per davvero: quando non ci fa assistere a lunghe e – stupende – cinematiche interrotte da quick time event (che volendo è possibile eliminare dalle opzioni) e dalla possibilità di scegliere parlando a nome del nostro alter ego, ci vedrà infatti seduti a un vecchio e impolverato PC, per rispondere alle chiamate dei cittadini dei sobborghi di Los Angeles.

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Può sembrare noioso, invece è ipnotico. Bisogna infatti agire in fretta perché le emergenze, in quanto tali, richiedono di essere tempestivi: in pochi secondi, dopo aver letto un breve brief, andrà deciso chi inviare, sulla base delle caratteristiche fisiche, dei poteri e delle attitudini degli “eroi” a propria disposizione.

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Chi usa soprattutto la forza bruta e non ha cervello meglio che non vada a salvare un gattino sull’albero o non incontri gli studenti di una scuola media per la giornata dedicata agli eroi; chi è stato dentro per stalking ed è ossessionato dalle celebrità meglio non scorti qualche VIP assediato dai fan.

Come Suicide Squad, ma decisamente migliore

Alcune missioni andranno svolte da due o più eroi e qui le cose si complicano ulteriormente perché come anticipato i membri dello Z-Team si odiano e si saboteranno a vicenda continuamente: voi dovrete intervenire quando possibile da remoto, sfruttando le abilità da hacker del proprio alter ego. E questi probabilmente sono i passaggi meno riusciti di Dispatch: gli hackeraggi si traducono in rompicapi nei quali occorre trascinare un oggetto all’interno di labirinti a griglie, risolvendo piccoli enigmi (spesso a tempo) ed evitando antivirus con meccaniche stile Pac-Man.

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In alcuni frangenti aumentano la tensione, catapultandoci in prima persona nell’azione e facendoci sentire maggiormente coinvolti, ma la trama è così ben fatta che si ha più l’impressione che spezzino inutilmente il corso degli eventi.

Dispatch probabilmente è così riuscito perché permette di vivere costantemente la sensazione che ha reso unico e inimitabile uno dei più grandi film di Alfred Hitchcock, La finestra sul cortile: noi siamo inutili, senza poteri, al di là dello schermo e osserviamo passivamente i membri della nostra squadra sul campo mentre combattono contro nemici spesso e volentieri più potenti e pericolosi di loro. Possiamo dare loro alcuni suggerimenti estemporanei, ma quando falliranno il peso di aver mandato l’uomo (o la donna) sbagliato ricadrà sulle nostre spalle.

Così come il peso delle decisioni che cambieranno realmente la trama, facendole percorrere binari del tutto inediti. A un certo punto, per provare a raddrizzare la squadra, bisognerà mandare il segnale che non si scherza e che chi sbaglia è fuori: dunque saremo noi a scegliere chi sacrificare, facendoci con ogni probabilità un nemico vendicativo in più dal quale guardarci le spalle.

dispatch da aggiungere

E bisognerà pure decidere chi assumere, sempre sulla base delle possibili alchimie di squadra e delle richieste che ci arrivano dagli altri personaggi. Meglio dar fiducia a un supereroe fallito in preda alla depressione o a uno stagista imbranato che non controlla ancora i propri poteri?

Supereroi in calore

In tutto ciò, c’è persino spazio per provare a migliorare la triste e mesta vita del povero Robert con una storia d’amore. Anche qui si potrà scegliere: meglio puntare sulla classica biondona giunonica che fa del bene perché è giusto così o sull’ex criminale complessata in fuga dal suo passato, asociale e portata a fare di testa sua?

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Alla fine di ogni capitolo Dispatch ci mostrerà se le nostre scelte sono in linea o meno con quelle della community (che a quanto pare in massima parte ha preferito sedurre la ragazza difficile, proprio come noi).

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Tutto questo viene peraltro ravvivato non solo da cinematiche al cardiopalma, che meriterebbero di essere proiettate al cinema, ma anche da un cast di doppiatori stellari: da Aaron Paul (sì, il Jesse Pinkman della serie tv Breaking Bad) a Jeffrey Wright (l’agente CIA Felix Leiter nel reboot di 007 con Craig). A volergli trovare un difetto: dura troppo poco, ovvero si conclude appena lo Z-Team inizia a ingranare e sentirsi una vera squadra di supereroi. Ma considerato che è proposto a nemmeno 30 euro, sarebbe stato difficile pretendere una longevità maggiore.

Il risultato finale è un’avventura grafica di caratura, che probabilmente giocherete dall’inizio alla fine senza mai concedervi una pausa i cui personaggi vi mancheranno terribilmente appena comparirà la fatidica scritta “The End” sul vostro schermo. Applausi a scena aperta ai ragazzi di AdHoc Studio, ma ora fuori Dispatch 2!