«Vogliamo sfatare il mito che le startup sarebbero in gran parte destinate al fallimento. Lo sono se non ci sono attività di scouting e di affiancamento». A un mese esatto da SIOS25, in programma a Milano, dove pubblicheremo il report sull’ecosistema nell’anno in corso, abbiamo intervistato Lorenzo Ferrara, Ceo di Nova Ventures, un fondo frutto dell’unione tra Open Seed e Seed Money. «Troppi founder – è la sua considerazione schietta – pensano che basti raccogliere qualche decina di migliaia di euro per considerarsi imprenditori. Non è così. È necessario prima di tutto saper gestire quel denaro, ma anche coltivare e mantenere vivo il legame con chi ha creduto in te. Purtroppo, l’amara verità è che tanti, una volta chiuso il primo round, spariscono letteralmente dai radar».
In un lunedì dedicato alle interviste ai VC ci spostiamo a Firenze, dove opera Nova Ventures. Lorenzo Ferrara, 41 anni, si è specializzato in nuovi media e ha fondato un’agenzia di produzione focalizzata sui video. A Milano, dove ha studiato in Cattolica, era prima stato responsabile marketing di una startup scandinava attiva nel settore delle energie rinnovabili. Gli investimenti sono sempre stati qualcosa che ha funzionato in parallelo alle sue attività. In particolare si è impegnato nel segmento seed e pre-seed.

Alle origini dell’ecosistema
Pochi anni dopo lo Startup Act del 2012, agli albori dell’ecosistema, il comparto era ancora tutto da comporsi. Investitori come lui potevano fare rete e così hanno fatto. «Sono partito con una dozzina di amici. Poi abbiamo raccolto circa un centinaio di partecipanti e nel 2016 è nata Open Seed». Nelle prime operazioni ha puntato su realtà che poi sarebbero crescite parecchio come Cleanbnb, Prenomeo e Treedom.
«Con il crowdfunding abbiamo aperto il capitale e sono entrati altri 300 investitori in Open Seed». Complessivamente il veicolo ha raccolto una trentina di partecipate. «Di gestito avevamo 1,5 milioni di euro. Abbiamo poi chiuso diverse exit come Fitprime e Cup Solidale». Nel suo percorso Lorenzo Ferrara ha avuto a che fare con una delle fasi senz’altro più complesse per un’azienda: all’inizio, con pochi o nessun cliente, il rischio del fallimento va di pari passo con quello dello sconforto.

La paura del fallimento
«A volte capita che le startup si trovino in difficoltà. Non c’è nulla di cui vergognarsi, fa parte del gioco. Ma nascondersi non è mai la risposta. Abbiamo già affrontato situazioni in cui un confronto tempestivo con i founder ha permesso di salvare realtà promettenti». Molti fondi in Italia svolgono un ruolo che non è soltanto di investitore, ma di supporto. «Avere una base di oltre 1000 soci ci consente di attivare rapidamente una massa critica attenta e motivata a tutelare la startup e il proprio investimento».
Nova Ventures è ora in crowdfunding con l’obiettivo di raccolta a 1 milione di euro per poi investire in ticket da 50mila euro. «A livello europeo – ha aggiunto – per competere serve un cambiamento culturale. Oggi si notano buoni segnali ma la quota di investimenti istituzionali è ancora ristretta. Oltre alle grandi corporate che hanno applicato validi metodi, ora serve un coinvolgimento delle medie aziende. Devono affacciarsi al mondo innovazione».

Perché partire dai piccoli?
Ma perché puntare ancora sulla fase seed? A mancare in Italia non sono i fondi late stage per scalare? «Le aziende a quei livelli hanno più facilità a entrare in contatto con fondi stranieri – ha commentato Lorenzo Ferrara -. Nel mondo pre seed e seed sta il nostro valore: capacità di fare scouting e di trovare le persone giuste, ancora prima delle idee. Abbiamo avuto un solo write off in 10 anni».
Eppure i rischi ci sono. «Per un investitore non è che la startup fallisca, ma che il fondatore sparisca. I founder che vogliono crescere e giocare in mercati internazionali devono partire con la freddezza di un analista e la determinazione di un maratoneta. L’epoca dei pitch pieni di buzzword e delle exit sognate al primo anno è finita».