Spread ai minimi dal 2009, il divario tra Italia – Germania non fa più paura. Cosa vuol dire per i BTP People

Spread ai minimi dal 2009, il divario tra Italia – Germania non fa più paura. Cosa vuol dire per i BTP People

Giornata a suo modo storica quella di ieri, quando lo spread ovvero lo scarto di rendimento tra il BTP decennale benchmark dell’affidabilità del nostro sistema Paese e l’omologo dei primi della classe (la Germania) oggi più che mai in affanno, a fine seduta si è attestato infatti a 70 punti, in flessione di 2 punti base rispetto al livello della vigilia, aggiornando i minimi da oltre 15 anni. Per alcuni istanti durante le contrattazioni è stato persino sotto, salvo poi riguadagnare qualcosina. In flessione anche il rendimento del BTP decennale benchmark che ha terminato la seduta al 3,44% dal 3,47% del riferimento precedente.

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Giancarlo Giorgetti

Si torna insomma, almeno secondo il giudizio dei mercati, al 2009 e si cancella una volta per tutte l’onta dell’ultimo governo Berlusconi, quello che terminò in modo inatteso nel novembre del 2011 proprio a causa delle impennate dello spread. E vengono così confermati i giudizi positivi delle agenzie di rating, l’ultima pagella solo lo scorso 21 novembre, quando Moody’s ha alzato la valutazione del Paese da BAA3 a BAA2 mettendosi in scia alle precedenti promozioni di S&P, Fitch e Dbrs durante l’anno.

Spread ai minimi, cosa cambia sul mercato dei BTP

In termini concreti, ovvero di opportunità di investimento, il fatto che gli analisti non scommettano più come nel recente passato in un dissesto economico del Paese nel medio termine toglie appetibilità ai BTP a dieci anni, che finora avevano invece offerto guadagni interessante, con ritorni in conto capitale attorno all’1-2%, dunque bisognerà tornare a guardare su quelle emissioni tra i 20 e i 30 anni. Gli analisti comunque s’attendono che, salvo stravolgimenti geopolitici tutt’altro che da escludere, il trentennale sia destinato a scendere dall’attuale 4,30% circa al 4%. Il rendimento annualizzato del titolo, tra cedola (già parametrata secondo le attese, ovvero al 4 per cento) e conto capitale (4-5%) si assesterebbe tra l’8 e il 9 per cento.

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Chi invece non vuole impegnare denaro per così tanto tempo e sa che potrebbe averne bisogno con urgenza senza poter attendere variazioni di mercato favorevoli, può guardare ai BTP a 5 anni il cui rendimento è intorno al 2,68%, ma si aspetta scenda al il 2,5% con un guadagno complessivo (cedola e conto capitale) al 3,3%.

Restano allora più interessanti le emissioni ad hoc per i piccoli risparmiatori che il governo ha intensificato per far tornare il debito nelle mani italiane. Anche perché verso il fondo di legislatura e con le elezioni che si avvicinano è più facile attendersi qualche finanziaria meno prudente e un paio di mosse elettorali finanziate a debito che potrebbero aumentare la fame di liquidità dello Stato.

Se verrà mantenuto il medesimo calendario di quest’anno, le prime emissioni di BTP pensati per i risparmiatori (dunque Valore, Più o qualsiasi altra formula dovessero inventarsi in quel di via XX Settembre) dovrebbero vedersi già a febbraio e poi eventualmente ripetersi prima e subito dopo l’estate. Non risultano invece particolarmente attrattivi al momento i buoni fruttiferi postali, col Premium a 4 anni che garantisce il 2,50 lordo, il 3×4 a 12 anni che ha un rendimento lordo del 3 per cento, il buono a cedola a 5 anni sull’1,59, quello Ordinario a 20 anni con rendimento al 2,50 per cento.

A prescindere comunque che si scelga tra il BTP quinquennale classico o le famiglie BTP Valore, Più, Italia viste nell’ultimo periodo, in ogni caso l’aspetto positivo è che il rendimento resterebbe superiore di almeno un punto percentuale alla erosione dell’inflazione, laddove dovesse stabilizzarsi sulla quota fisiologica del 2 per cento. Guadagni reali minimi, certo, ma sempre meglio che lasciare i soldi dormienti sul conto corrente.