La fibra che fa “parlare” i satelliti: quando le strutture spaziali acquistano percezione

La fibra che fa “parlare” i satelliti: quando le strutture spaziali acquistano percezione

A volte le idee che cambiano un settore nascono in silenzio, tra una tesi di laurea e un gruppo di ricercatori che scopre di lavorare sorprendentemente bene insieme. È la storia di Alberto Rovera, Giovanni Mingoia e Alexandru Tancau – un team di ingegneri formato al Politecnico di Torino e cresciuto nella Fondazione LINKS, dove la ricerca applicata incontra quotidianamente aziende e sfide industriali. 

Il trio lavora da anni sui sensori in fibra ottica, tecnologie leggere e resistenti che hanno già fortemente impattato in settori come l’Oil&Gas. La svolta arriva quando i tre partecipano all’Academy dell’incubatore I3P del Politecnico di Torino: lì capiscono che la loro tecnologia potrebbe colmare un vuoto enorme nel mondo dello spazio. Nasce così Theia Sense, che a gennaio diventerà ufficialmente una startup.

Satelliti

Un nuovo “sistema nervoso” per satelliti nello spazio

I satelliti affrontano condizioni estreme: escursioni termiche di centinaia di gradi, vibrazioni intense durante il lancio, radiazioni costanti e deformazioni continue che nessun laboratorio può replicare davvero. Eppure, una volta in orbita, la maggior parte delle strutture rimane “cieca”: non esiste un sistema capace di rilevare in tempo reale microfratture, stress interni o anomalie che possono evolvere in guasti critici. Si testa tutto a terra, si simula, si modella e poi si spera che la realtà segua i calcoli.

Theia Sense nasce per ribaltare questo modello. L’obiettivo è semplice da enunciare ma radicale nelle conseguenze: rendere accessibile la sicurezza nello spazio, dotando i satelliti di un sistema percettivo che oggi non esiste. Il team ha brevettato un design innovativo di sensori in fibra ottica (FBG) in grado di misurare anche gli sforzi di taglio, una variabile che finora era praticamente impossibile rilevare in modo affidabile. Una funzione chiave per diagnosticare micro-danni in anticipo, resa possibile da un’amplificazione del segnale superiore al 1000%.

Ma il sensore è solo l’inizio. La tecnologia si completa con un interrogatore ottico miniaturizzato, capace di raccogliere i segnali distribuiti lungo la struttura e trasferirli a un software di analisi avanzata. A questo punto entra in gioco il livello più innovativo del sistema: un modello AI che elabora i dati e ricostruisce un digital twin, una copia digitale della struttura in grado di mostrare lo stato attuale del satellite e – soprattutto – prevedere le future anomalie.

In altre parole, è come dotare i satelliti di un vero “sistema nervoso” digitale: percepiscono lo stress, anticipano il danno, reagiscono prima che il problema diventi irreversibile. Un approccio che può allungare significativamente la vita operativa delle missioni, ridurre costi di manutenzione e rendere più sostenibile un settore – quello della space economy – in rapida e inevitabile espansione.

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Dall’Italia alle orbite: il piano di Theia Sense

Il mercato spaziale sta cambiando rapidamente: costellazioni di piccoli satelliti, nuovi player privati e costi di lancio in calo. Allo stesso tempo resta un settore prudente, dove l’ingresso di una nuova tecnologia può richiedere anni. In questo contesto, Theia Sense ha definito una roadmap ambiziosa ma concreta: un pre-seed da 500mila euro per completare il prototipo, miniaturizzare l’interrogatore – il vero nodo ingegneristico – e avviare i primi progetti pilota; un sistema operativo per applicazioni terrestri entro il primo anno; una qualifica spaziale completa nell’arco di sette.

Accanto al team ci sono il Politecnico di Torino e la Fondazione LINKS, che negli ultimi anni hanno puntato sul trasferimento tecnologico e percorsi di imprenditorialità per i ricercatori. Theia Sense è uno dei frutti più evidenti di questo ecosistema: una deep-tech che nasce in Italia, ma che parla subito al mercato globale. Perché la sicurezza nello spazio, oggi più che mai, non ha frontiere.