Cadere, rialzarsi e vincere. La lezione della campionessa Ambra Sabatini: «Grazie allo sport non ho mai mollato»

Cadere, rialzarsi e vincere. La lezione della campionessa Ambra Sabatini: «Grazie allo sport non ho mai mollato»

A un anno dall’incidente che avrebbe potuto spegnere tutto, ha trovato la forza di rialzarsi. E ripartire, più forte e determinata che mai. Fino alle Olimpiadi, le sue prime Olimpiadi. Tokyo 2020, in pieno Covid, Ambra Sabatini non guarda in faccia a nessuno e continua dritta per la sua strada, fatta di ostacoli e momenti difficili ma anche di grandissime soddisfazioni. Come l’oro paralimpico in quella gara tanto sudata quanto sperata. «La mia passione per lo sport mi ha permesso di non mollare mai, ho sempre avuto chiaro l’obiettivo di tornare in pista e inseguire un sogno, il mio sogno. Vincere», racconta Ambra a StartupItalia nella nuova puntata di Unstoppable Women. Classe 2002, di Livorno ma cresciuta a Porto Ercole (Grosseto), sin da piccolissima si dedica allo sport, pratica pattinaggio per due anni, poi pallavolo per sei anni per approdare, infine, nell’atletica leggera come mezzofondista. La sua vita è quella di una ragazza grintosa, determinata, piena di vita, molto legata alla famiglia, in particolare al papà, che è anche il suo mentore. Finché arriva il 5 giugno 2019.

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Ambra Sabatini durante un allenamento

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Ambra, che cosa è successo il 5 giugno 2019?
Mi è cambiata la vita. Avevo 17 anni e stavo andando con mio padre a un allenamento di atletica a Grosseto. Eravamo in scooter quando, a un certo punto, ci siamo ritrovati a terra. Ci aveva colpiti un’auto che aveva invaso la nostra corsia di marcia. Ricordo di aver pensato che forse stavo morendo. Il mio ginocchio si era infilato nel montante della macchina, sentivo un caldo mostruoso. Qualche istante dopo sono arrivati i vigili del fuoco che, per puro caso, si trovavano proprio dietro il veicolo che ci ha investiti. Sono stati fondamentali perchè mi hanno salvato la vita. Se non fosse stato per loro, probabilmente sarei morta dissanguata. Poco dopo è arrivato l’elisoccorso che, per fortuna, è riuscito ad atterrare proprio dove ci trovavamo noi.

E così ti sei ritrovata in un letto di ospedale..
Si, senza più la gamba sinistra. Ricordo di essermi svegliata e di aver visto la mia famiglia. Tutti intorno a me erano molto preoccupati, io avrei invece voluto dirgli che già sapevo quello che mi era successo.

E poi è arrivata la parte più difficile della tua vita..
Sì, il mio primo impatto con la protesi. Ricordo la prima volta che la provai: quel giorno avevo alte aspettative che sono state disilluse. Percepivo quello strumento come qualcosa che non faceva per me, cadevo e a volte il ginocchio restava bloccato. Lo stesso è accaduto con la corsa: recuperare i ritmi e la vita quotidiana è stato veramente faticoso. Ma ho avuto al mio fianco degli insegnanti eccezionali. Anche andare avanti con gli studi è stato difficile, ma tutto in quel periodo era complicato, anche uscire con gli amici: non avevo l’autonomia che ho riconquistato col tempo. Grazie alla mia rete sociale sono riuscita a recuperare e devo dire che anche il Covid è stato dalla mia parte: mentre io “mi mettevo in pari”, il mondo attorno a me rallentava.

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E poi sono arrivate le Olimpiadi…
Sì, subito dopo la riabilitazione mi sono cimentata nel nuoto e nel ciclismo perché è passato un po’ da quando ho potuto indossare la prima protesi, che è arrivata nel 2020, proprio in tempo per Tokyo. Dopo i campionati italiani paralimpici, sono arrivata al Grand Prix di Dubai in cui ho registrato un nuovo record mondiale valido per la qualificazione ai Giochi paralimpici di Tokyo del 2020, che poi si sono svolti un anno dopo proprio per la pandemia.

Tu parli dello sport non solo come di una passione ma come di una salvezza..
Io credo che lo sport sia uno strumento sociale potentissimo e penso che vada aldilà di valori come quello dell’inclusione. Per me è stato un rifugio, mi ha dato modo di conoscere tante persone, imparare nuovi valori che poi ho messo in pratica nel momento peggiore della mia vita. Mi ha dato la capacità di non lasciarmi abbattere e credere davvero in quello che stavo facendo. Dopo l’infortunio sono tornata in pista e ho ricominciato a correre.

Oggi sei impegnata anche nelle scuole, dove sensibilizzi i giovanissimi sull’importanza della sicurezza stradale..
Sì, ho avuto diverse occasioni di incontro coi ragazzi che mi fanno conoscere sempre qualcosa di nuovo. La mia generazione ha voglia di cambiare le cose e vedere un mondo migliore. Così parlo di sicurezza stradale ma soprattutto di ambizioni e di sogni: ognuno ha bisogno di una luce.

Quale è oggi l’insegnamento più grande che hai ricevuto dalla vita?
La soddisfazione più grande sinora è stata, senza dubbio, aver vinto l’oro nei 100 metri alle Paralimpiadi di Tokyo, mentre il momento più brutto a livello sportivo essere caduta a un metro dal traguardo durante le ultime Paralimpiadi a Parigi l’anno scorso. L’insegnamento più grande che ho ricevuto, però, non è mai stato quello di avere una medaglia al collo – per quanto bella sia – ma svegliarmi la mattina e ricominciare a inseguire i miei sogni.

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Ora che c’è nel tuo cassetto dei sogni?
Sono grata ai registi e a tutta la squadra che ha trasformato la mia esperienza di vita in un docufilm “Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo. Atleticamente mi sto formando per le prossime Olimpiadi di Los Angeles 2028. Ho iniziato anche ad allenarmi sul salto in lungo e secondo me ci sono buone prospettive. Ora il mio sogno è quello di conquistare due medaglie, magari due ori, non è mai successo a un’italiana alle Paralimpiadi. Poi sto studiando Scienze della Comunicazione, mi piacerebbe, quando avrò terminato la mia carriera sportiva, lavorare in questo campo.

E quale è l’augurio che fai a te stessa per i prossimi anni?
Di avere il coraggio e la voglia di migliorarmi sempre, non dimenticando mai la Ambra che ero e che sono diventata. E ora è il momento di spingere al massimo.