La visione di Salvo Mizzi con Radical Partners: «Vi racconto il primo fondo di fondi italiano interamente privato di venture capital»

La visione di Salvo Mizzi con Radical Partners: «Vi racconto il primo fondo di fondi italiano interamente privato di venture capital»

«Tutto il continente europeo vive un’indubbia fase di difficoltà complessiva tale da farci pensare a un classico momento Churchill, quello della scelta assurda ma inevitabile tra disonore e guerra. C’è una crisi di sistema, di leadership e di orizzonte. Mancano risposte forti, le decisioni fanno fatica ad essere assunte, corri il rischio di essere un erbivoro in quella che è – come dice il mio amico Giuliano da Empoli – l’ora dei predatori. Tuttavia le alternative sono visibili e tutto sommato a portata di mano. Bisogna dare una scossa al mindset della regolazione ossessiva, avviare in modo deciso il ventottesimo regime per unificare il mercato dei capitali e delle startup tecnologiche, chiarire realmente la governance dell’innovazione su scala europea. Che fase sta vivendo l’Italia? Chiudiamo l’anno con Bending Spoons valutata 11 miliardi di euro, Exein che raccoglie 170 milioni di euro in tre mesi, l’ex Arduino con Qualcomm. Emergono nuove leadership come quella di Luca Ferrari o Gianni Cuozzo, di cultura e mentalità globale».

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Salvo Mizzi

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Orientarsi al mercato

Nonostante tutto, il bicchiere è mezzo pieno per Salvo Mizzi, innovatore di lungo corso, Kauffman Fellow dal 2011 e top manager con alle spalle un bagaglio di esperienze manageriali nel digitale. Mizzi negli anni si è occupato di sviluppo degli investimenti tech, venture capital e open innovation. Telecom Italia/TIM, ceo di TIM Ventures e di Invitalia Ventures, general partner in Principia e poi direttore generale in Enea Tech, oltre che tra i principali ispiratori della nascita del Fondo Nazionale Innovazione. Oggi è alla guida di una nuova avventura con Radical Partners, primo fondo di fondi VC privato e indipendente italiano con un target di raccolta di 400 milioni di euro. «Radical Fund of Funds è il primo nel suo genere. Un fondo di fondi dedicato agli investimenti in fondi diretti di venture capital, nato dall’iniziativa privata dei soci di Radical Partners, è totalmente indipendente e quindi non soggetto alle influenze diciamo ellittiche dei vettori a capitale pubblico. È orientato esclusivamente al mercato, all’efficacia e alla generazione di ritorni per tutti gli investitori che decidono di assumere una esposizione sostenibile agli investimenti nel vivaio produttivo e nella economia del futuro. L’idea nasce dalla necessità di dotare l’architettura del nostro ecosistema di una tessera mancante, sostenuta solo da capitali privati, senza un euro di risorse pubbliche», precisa Mizzi.

La vista panoramica

Nel descrivere l’operazione, Mizzi non usa mezzi termini. «Non avevamo bisogno in Italia di un altro fondino pop, ma di un vettore autorevole a monte che possa essere un nuovo benchmark di riferimento e un pilastro di mercato chiaro e trasparente. Potrà essere un ottimo comparable per misurare l’efficienza e i risultati delle scelte di investimento del mercato stesso. Inoltre al 60% questi investimenti andranno in cd emerging managers, ovvero nuovi VC al loro primo esordio o alla conferma: tutti i dataset indicano che questa categoria di VC in Europa e nel mondo è quella che vede meglio ciò che accade nell’innovazione tech e di conseguenza performa molto bene in generale rispetto ai fondi più classici. Insomma, si investe su chi può funzionare meglio, si amplia la base produttiva, si accompagna un necessario ricambio generazionale. I vantaggi del modello sono evidenti, i rischi non li vedo, anzi il fondo di fondi per sua natura addomestica la curva del rischio e allarga la tua visuale. Nel nostro caso investiremo su 25/30 fondi diretti e sulle loro startup target. Una vista panoramica unica, che sia un belvedere o un campo di battaglia

Prima di andare avanti, riavvolgiamo il nastro percorrendo la carriera: come descriverebbe l’evoluzione dell’innovazione?
Quello che posso dire è che mi è capitato di essere per caso una sorta di founder seriale di pezzi di architettura dell’innovazione e che ho servito il Paese, quando mi è capitato di svolgere un ruolo pubblico con disciplina e onore, cercando di spostare in avanti un ecosistema che anni fa aveva bisogno di tutto: capitali coraggiosi, senso dell’urgenza e dell’interesse strategico, mindset culturale innovativo, buone pratiche. Con la messa in campo di Cdp Venture ed Enea Tech le risorse a favore dell’innovazione tecnologica sono arrivate di colpo a pesare sulla carta più di due miliardi. Certo, non tutto è andato per il verso giusto, ma ricordiamoci che nel 2015, dieci anni fa, gli investimenti in startup e VC erano fermi tra 100 e 200 milioni di euro l’anno. Oggi comunque in Italia c’è una spinta ulteriore che potrebbe essere decisiva. Mi riferisco allo schema normativo innovativo nato nel mondo Mimit, che vincola le esenzioni fiscali degli investitori istituzionali ad una soglia di investimenti in fondi di venture capital, pari nel 2026 al 5% sugli impegni totali di allocazione. È una misura che porterebbe l’Italia ad essere tra i leader europei negli investimenti in innovazione. Siamo ancora molto indietro nel ranking europeo, ma vedo che qualcosa è cambiato sul serio.

«Oggi comunque in Italia c’è una spinta ulteriore che potrebbe essere decisiva»

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Il fondo punta a raccogliere capitale anche da Paesi del Golfo. Quali opportunità vede?
La considerazione di partenza dal nostro lato è stata quella di guardare in modo laico al dialogo ed alla creazione di rapporti con nuovi potenziali mercati. Guardiamo con attenzione alla necessità di dare al nostro sistema produttivo un orizzonte non solo domestico, e nella situazione geopolitica attuale crediamo che questo possa voler dire guardare a est, verso i paesi del Golfo e verso il Far East. Dal punto di vista numerico l’Italia in ambito tech e innovazione è un Paese emergente. Quello che sta accadendo da noi è grosso modo quello che è accaduto in Spagna, Germania, Francia, UK, cinque o dieci anni fa.

Quindi come ci collochiamo rispetto all’Europa?
Siamo il Paese che può crescere a doppia cifra, dunque con vista e ritorni interessanti per tutti gli investitori internazionali. Questo ci consente di combinare alcuni ambiti virtuosi: attrarre nuovi investimenti globali verso l’Italia, costruire una linea di sbocco multi-domestica per le nostre imprese e le nostre startup, offrire rendimenti competitivi ai capitali internazionali alla ricerca di economie di mercato solide ma ancora ad alto potenziale. Questa peraltro è la logica sottostante all’accordo strategico siglato tra Radical Partners e Assolombarda, con il presidente Biffi e il vasto mondo associativo di imprese tecnologiche e imprese familiari, che hanno scelto Radical Fund of Funds come interlocutore privilegiato.

Il modello di fondo di fondi può portare a un’esposizione a oltre 600 startup. Come bilancerete diversificazione e specializzazione?
Vengo da una formazione in ambito VC maturata tra la migliore scuola americana, quella del Kauffman, e quella operativo-manageriale del corporate venture capital. La prima ha nel suo Dna il dominio dei mercati attraverso il VC e la creazione secca e brutale di nuovi mercati, anche attraverso la distruzione impietosa di quelli maturi esistenti, troppo sazi per vedere arrivare il nuovo. La seconda, soprattutto in Europa, è un m-RNA che funziona se hai la forza o il coraggio di intuire che mestiere farai tra dieci anni, da che parte arrivano le minacce, da dove possano sbucare cigni neri, rosa o grigi: una questione di sopravvivenza. In entrambi i casi vale il principio che “la specializzazione è per gli insetti”. Il venture capital è per sua natura opportunistico e volentieri si acconcia ad essere generalista, ha una natura esplorativa e non ama andare giù in miniera al buio per oltre mille metri. La spinta più recente di fondi VC che si dichiarano come verticali è molto interessante, ma non credo sia l’unica risposta definitiva e compiuta alle incertezze degli investitori. Detto questo, il modello del fondo di fondi, nel nostro caso, è un punto di equilibrio naturale tra diversificazione e competenze. Sceglieremo i trenta fondi di venture capital su cui investire con una matrice che assomiglia molto a un cubo di Rubik coprendo tecnologie, industry, geografie e fasi di investimento in modo ispirato.   

«La specializzazione è per gli insetti. Il venture capital è per sua natura opportunistico e si acconcia ad essere generalista»

Quali skills ritiene imprescindibili nei team?
Questo è il punto essenziale del sistema operativo di Radical Partners. Tra i tre co-founders oltre a me e Daniele Vecchi segnalo con malcelato orgoglio Cristiano Garocchio, con oltre vent’anni di viaggio alle spalle nella executive search e come head-hunter. Come fondo di fondi abbiamo la responsabilità di scegliere e investire su fund managers, non sulle startup target. Conoscere le tecnologie è importante, ma capire e analizzare le potenzialità delle persone su cui investiremo lo è molto di più. Questa scelta può in parte essere fatta attraverso l’intuito, il network, le referenze incrociate. Ma è meglio affiancare a questi elementi un numero consistente di ore di volo e qualche algoritmo ben pesato e ben pensato. Cristiano viene anche da una bella exit della sua startup di HR tech, Convoy, acquisita da un gruppo di investitori industriali quando era ancora in fase early stage. Già oggi la nostra cd pipeline è molto nutrita, abbiamo ricevuto a tempo zero più di 80 presentazioni di fondi VC, quindi il lavoro di Cristiano si preannuncia imponente. Detto tutto questo, se dovessi aggiungere qualche elemento ulteriore, direi che a noi di Radical Partners piacciono molto i fondi di venture capital che hanno un’idea del futuro, con tesi di investimento forti e radicali, molto meno quelli che ho già letto mille volte negli ultimi 25 anni.

Con Robert Metcalfe alla Graduation Kauffman
Robert Metcalfe e Salvo Mizzi alla Graduation Kauffman

Ha più volte detto che il problema principale del VC italiano è il peso del capitale pubblico. Quali sono gli errori più frequenti?
Ho deciso di lanciare Radical Partners e promuovere Radical Fund of Funds per portare con i miei soci e i nostri partner un contributo concreto ed evolutivo fondato su un riequilibrio a favore del capitale privato e del mercato, in linea con le esperienze dei paesi che guidano l’innovazione e la crescita tecnologica. Le risorse pubbliche ed i vettori pubblici oggi dilagano come quantità e rendono il complesso dell’ecosistema – per come è nella loro natura – affaticato nella crescita dei soggetti privati e del mercato.

Cosa rappresentano?
Diciamo che i vettori pubblici sono obbligati a seguire un red tape burocratico e di rispetto del sistema attuale europeo che spesso crea colli di bottiglia nella accelerazione e nella allocazione di capitale. Non solo. Ci sono poi elementi di potenziale distorsione che vanno ridotti e gestiti con intelligenza per non giocare troppe parti in commedia: arbitro, giocatore, segnalinee, pubblico, telecronista. E questo vale in tutte le fasi del ciclo di vita di un ecosistema, inclusi il fundraising, i round e le condizioni di investimento, la mancanza di rinnovamento e ampliamento dei soggetti operativi. Anni fa – quando ero di passaggio casualmente nella sala macchine che diede vita al Fondo Nazionale Innovazione e alla aspirante Darpa italiana – era stato inserito nel dettato normativo un articolo molto semplice, copiato anche questo dai francesi. Destinare ogni anno ai vettori pubblici di VC un X% degli utili delle grandi partecipate, al tempo erano circa 500 milioni di euro/anno. In modo che la portaerei pubblica fosse tranquilla nel suo modello e si concentrasse esclusivamente sull’efficacia delle sue allocazioni, evitando di fare concorrenza ad una piccola sgr con un fondo da 60 o 70 milioni. Purtroppo quell’articolo venne riscritto nella classica notte prima degli esami per poi svanire del tutto. Il mio suggerimento è: perché non riprendere quel filo? In fondo non è così difficile e altrove in Europa funziona. E non è un passo indietro, ma un passo avanti. 

In chiusura, parla di innovazione radicale: ma in che senso?
In genere non ne parlo, cerco di praticarla, è una questione di postura o forse di attitudine. Con Radical Partners siamo interessati alla crescita, troviamo noiosa la piccola innovazione incrementale insignificante o quella trombonesca delle cabine di regia. Preferiamo quella vigorosa che produce output vitali per gli investitori, per la società, per il pianeta. Quelli che la pensano in questo modo sono tutti o quasi allievi del maestro Steve Blank e del suo capolavoro “Road to Epiphany”. Per citarlo quasi alla lettera: “We draw inspiration from Steve Blank, the most respected mentor of the last 50 years in Silicon Valley. Living in the same room with extraordinary visionaries and remarkable engineers, surrounded by an ecosystem of creative, relentless and tenacious individuals, Steve discovered that they had no respect for the status quo”. Mi sembra abbastanza radicale. Dritto e rovescio funzionano se lasci andare il braccio, non se tieni stretto al corpo il potenziale di energia.