«Non siamo qui a dire che riporteremo migliaia di persone in Sicilia. Nè ci azzardiamo a suggerire ai giovani di non partire. I numeri ci restituiscono però questo scenario: nei prossimi 25 anni la Sicilia perderà 859mila persone, il 18% della popolazione. Stando così le cose oggi noi possiamo dare un contribuito per fare sì che le comunità non muoiano». Antonio Perdichizzi, presidente di Fondazione Marea, ha raccontato a StartupItalia il progetto, iniziativa che ha accompagnato in un percorso di pre-accelerazione 13 idee, progetti, startup siciliane con un focus sull’impatto. A salire a bordo del progetto sono state 423 persone, pionieri li hanno chiamati, che dall’estero hanno deciso di donare mille euro a testa e parte del proprio tempo per trasferire competenze, passione e spunti a chi sull’isola ha deciso di rimanere.

Come nasce il progetto di Fondazione Mare?
L’anno scorso abbiamo avvertito l’urgenza di lavorare sulla diaspora siciliana. Emigrano circa 50mila persone ogni anno. Nei prossimi 25 anni questa Regione perderà 859mila persone, il 18% della popolazione. Tutto questo è un problema gigantesco e noi lo abbiamo voluto affrontare in una maniera precisa: non possiamo invertire la tendenza, ma fare sì che ogni persona possa essere utile alla Sicilia ovunque si trovi nel mondo.
Quali persone avevate in target?
Volevamo e vogliamo ancora attirare filantropi e volontariato di competenze. Questa è l’idea di Fondazione Marea, che ha sede a Catania e mantiene un impianto regionale. Il messaggio è il seguente: dalla diaspora alla comunità. Volevamo trovare 300 pionieri disposti a donare 1000 euro e ne abbiamo trovati più di 400.

C’è una caratteristica comune di questi pionieri che dall’estero hanno scelto di investire sulla Sicilia?
Provano sentimenti contrastanti. Qualcuno ha il senso di rimorso per essere andato via, qualcun’altro avverte risentimento per essere dovuto andare via. Ma non si perdono i legami. Altri ancora sono spinti da un senso di responsabilità.
Dopo la prima raccolta da 423mila euro come pensate di muovervi?
Direi che è stata un’operazione dal basso. Siamo tutti soci, è una fondazione di partecipazione. Ed è solo il primo passo. Continueremo a crescere con i pionieri e troveremo altri canali di fundraising per far crescere il patrimonio. Abbiamo cominciato ad attirare finanziamenti da parte di fondazioni.

Dalla Fondazione Marea al progetto Onda. Come funziona?
La finalità concreta su cui vogliamo convogliare le risorse e le competenze è la nascita di imprese sociali in Sicilia. Siamo convinti che siano il futuro del nostro territorio. Non tanto le startup tecnologiche da venture capital, ma imprese che fondono il mondo delle aziende con il terzo settore. Soggetti che si prendono cura della comunità. Quest’anno abbiamo fatto una call e siamo andati in giro per tutta l’isola. Ci sono arrivate 170 candidature e ne abbiamo selezionate 13. Hanno appena finito il Demo Day e presto assegneremo grant da 10mila euro alle migliori tre.
Vi ha permesso di fare un viaggio della Sicilia. Che impressione vi ha restituito?
I due poli sono Palermo e Catania per via della presenza di università, aziende, istituzioni, aeroporti. Ma noi abbiamo voluto scegliere almeno un progetto da tutte le nove province siciliane. Molte idee arrivano da piccoli centri, piccoli borghi. E questo perché la voglia di innovare è equamente distribuita sul territorio, dove ci sono energie straordinarie. L’impresa sociale può attecchire in territori difficili dove le startup farebbero più fatica. Vogliamo costruire opportunità di lavoro.

Siete partiti dalla diaspora. La sensazione è che sia un problema davvero troppo difficile da risolvere. Che idea ti sei fatto?
Non siamo qui a dire che riporteremo migliaia di persone in Sicilia. Nè ci azzardiamo a dire ai giovani di non partire, siamo da sempre un popolo migrante. La soluzione a questi problemi sono in capo alle istituzioni. Noi abbiamo preso atto della situazione e vogliamo dare il nostro contributo per impedire che le comunità e i territori muoiano.