Loro lo definiscono “boring business”, ma si potrebbe meritare a buon diritto l’appellativo di smart business, visto che sfida uno dei problemi principali delle PMI italiane: la compliance. Levels è una startup innovativa, nata il 7 maggio 2024 da quattro giovanissimi co-founder – Emanuele Baldelli, Filippo Caliò, Dario Del Gaizo e Tommaso Lucarelli -, che dopo una prima fase di consulenza in campo genAI, hanno deciso di compiere una virata radicale per entrare in una prateria quasi inesplorata con un obiettivo chiaro: automatizzare il processo dei general contractor per gestire la compliance dei propri subappaltatori, attraverso l’Intelligenza artificiale. Poco cool? Può darsi, ma senz’altro assai utile.

Partire dal problema
Entrare in questo business non è stata una decisione presa a tavolino. Dopo aver soddisfatto brillantemente la richiesta di un’azienda su questo fronte, hanno compreso al volo che quello era il ventre molle della cantieristica, dove la compliance è necessaria per partecipare alle gare d’appalto per lavorare con le grandi committenze pubbliche. Con la lezione di Bezos sulla customer obsession stampata bene in testa – partire dalle difficoltà dei consumatori e procedere a ritroso sino a identificare la soluzione da mettere sul mercato -, non ci hanno messo molto a intuire che erano di fronte a un turning point. Era il giugno 2025, il prodotto era ancora in una fase di sviluppo, ma si sono lanciati. Hanno iniziato dalla gestione della compliancea 360 gradi dei subappaltatori e in sei mesi hanno realizzato più di 160.000 ARR-annual recurrent revenue, ovvero abbonamenti annuali. Al momento sono 16 le aziende edili che li hanno scelti e sono nomi rappresentativi del settore. «Andare in giro per Milano e riconoscere su ogni gru il nome di un’azienda nostra cliente o che abbiamo contattato, ti dà la misura di quanto Levels stia avendo un impatto sul mondo reale. E questo è un grande motivo di orgoglio» dichiara il Ceo, Tommaso Lucarelli.
La scelta di fare impresa in Italia
La storia dei quattro co-founder di Levels – raccontata per intero sul sito – offre molti spunti interessanti. Tutti laureati in Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano, in triennale, poi una doppia laurea in Data Science, organizzata da EIT Digital, una al Politecnico e la seconda al KTH di Stoccolma. È lì che si è consolidata l’amicizia ed è emersa la comune propensione imprenditoriale, messa gagliardamente alla prova con l’organizzazione di una serie di eventi festaioli. Infine, sono stati tutti quanti presi per un internship da Amazon in Lussemburgo, come Business Intelligence Engineer. Sei mesi determinanti per mettere a fuoco la volontà di diventare imprenditori e forgiare il mindset giusto. «In quella esperienza – chiosa Tommaso -, mi hanno dato la possibilità di sbagliare pur di imparare a prendere decisioni in autonomia. Dandomi piena fiducia, mi hanno fatto capire che avrei potuto affrontare qualsiasi sfida». Dopo un’iniziale propensione ad aprire all’estero, hanno deciso di scommettere sull’Italia per aiutare le aziende del proprio paese, sfruttando il network che avevano nel frattempo coltivato. Oggi sono in nove persone full time, ne stanno assumendo altre due e presto avranno bisogno di nuove giovani leve. Nel frattempo, si stanno dando una forma all’organizzazione e hanno scelto Tommaso come Ceo. Perché proprio lui? «Soprattutto per la mia capacità di sapere come far collaborare meglio le persone, in modo da essere più veloci nel prendere assieme le scelte migliori».

Come se si fosse ancora in università
Nel momento della virata verso il “boring business”, quasi tutte le persone coinvolte hanno deciso di rimanere e i tirocinanti sono stati trasformati in assunzioni full time. E il perché di rimanere in Levels è stato proprio l’orgoglio di aiutare le PMI italiane a risolvere un problema concreto. Insomma, il senso di un’attività che si può toccare con mano, non così comune nel mondo digital.

Dopidichè, sono diversi i fattori che distinguono una startup del genere rispetto ad aziende consolidate. Senz’altro, il fatto di lavorare in un clima che sembra ancora quello universitario, informale, intenso ed entusiasmante perché improntato a progetti in continuo divenire. «Tornato in Italia, prima di fondare Levels, ho avuto un’esperienza di qualche mese in un notissimo brand della moda italiana e mi sono trovato in una realtà totalmente diversa dalla dinamicità a cui ero abituato – racconta Tommaso – . Insomma, mi sono detto “è già finita!”. Mi sono sentita vecchio, affossato in logiche gerarchiche e poco propense a dare spazio ai giovani». In secondo luogo, lavorare in una startup significa assumersi una responsabilità molto alta. La possibilità, dunque, di gestirsi un buon margine di libertà d’azione, di prendere decisioni e vedere l’impatto diretto che hanno sui clienti. Difficile da sperimentare al primo o secondo lavoro in altri contesti lavorativi.

Le ambizioni non finiscono qui
Oggi Levels si colloca in una fascia medio alta del settore,, ma le loro ambizioni non si fermano certo qui. «Per ora abbiamo fatto un bellissimo tool di automazione, ma abbiamo risolto il problema per metà – riflette il Ceo -. L’altra metà, che è ancor più significativa, è recuperare e gestire tutti i documenti necessari, che affligge la miriade di piccole realtà di cui è composto il settore edile. Parliamo di attività composte da tre, quattro lavoratori, che di giorno lavorano in cantiere e alla sera o durante il weekend devono preparare i documenti per acquisire nuovi clienti. Ecco, noi vorremmo aiutarli, costruendo un servizio digitale per telefono o pc, che permette di gestire tutta la compliance documentale con il minimo effort richiesto». In questo modo, riuscirebbero a risolvere il problema alla radice, E, al contempo, si dedicherebbero a sviluppare servizi più complessi per le grandi. «A tendere – dichiara Tommaso -, il nostro motto è upload once comply everywhere, ovvero tu carichi il documento una sola volta nella tua piattaforma e poi lo condividi tutte le volte che serve con chi lo richiede. Quindi, la vera rivoluzione è trattare il dato in modo diverso. È questa la nostra visione a lungo termine».
Come e quando crescere
Da un punto di vista di investimenti, loro – come tanti altri – dopo la fase di bootstrap iniziale sono partiti grazie ad angel investor, investitori privati che hanno mostrato molta disponibilità, essendo perlopiù persone in una fase di vita dedicata al give back dopo carriere importanti. Alcuni di loro oggi fanno parte dell’advisory board di Levels e si prestano anche a fare da mentori alle persone, quando ne sentono il bisogno, altre li supportano sulla parte tecnica, di prodotto, che fungono da punti di riferimento. Ma, bisogna dire, che in Italia non mancano i fondi per la fase iniziale di una startup, quella definita preseed.

I problemi vengono dopo. «Noi siamo in una bolla privilegiata, perché oggi abbiamo un ufficio in Talent Garden, hub dedicato a far fiorire e contaminare nuovi business, dove abbiamo avuto l’opportunità di conoscere Investitori e altre startup che ci hanno ispirato, ma la realtà comune non è questa» riconosce Tommaso. E spesso, quando si inizia a crescere e le necessità aumentano, è più facile trovare l’interesse di fondi esteri, spesso tedeschi o inglesi. Non c’è nulla di male, ma va tenuto presente, fa notare Tommaso, che «se il business va molto bene, il guadagno ce l’hanno gli stranieri, nonostante l’azienda sia italiana, paghi le tasse qui e abbia un impatto sul territorio nazionale. Oltre al fatto che spingono per portare il business anche nel loro Paese e molti dicono che l’errore più grande che hanno fatto è andare all’estero troppo velocemente».
Riflessioni sagge a cui il mondo degli investitori nostrani dovrebbe prestare attenzione, soprattutto quando – come nel caso di Levels – gli imprenditori in erba non sono figli d’arte e si conquistano ogni passo grazie al merito.