Dal salvadanaio alla scuola: come si costruisce la cultura finanziaria fin dall’infanzia

Dal salvadanaio alla scuola: come si costruisce la cultura finanziaria fin dall’infanzia

Cittadini attenti al risparmio, ma con competenze finanziarie basse: è il paradosso dei giovani italiani. Da un lato restano fedeli alla tradizione che ci descrive come popolo di risparmiatori, dall’altro continuano a posizionarsi sotto la media OCSE in materia di financial literacy. Un divario che pesa in un’economia sempre più digitale e complessa. L’introduzione dell’educazione finanziaria a scuola con la Legge Capitali nel 2024 è un primo passo, ma le sfide sono ancora molte.

Per capire come affrontarle e tracciare un quadro completo, abbiamo intervistato Emanuela E. Rinaldi, Professoressa Associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di socializzazione economica, è Responsabile scientifica di ONEEF (Osservatorio Nazionale di Educazione Economico Finanziaria) e Obiettivo EFFE (Empowerment Femminile per un Futuro più Equo) con cui porta avanti progetti dedicati alla literacy dei più piccoli e all’empowerment femminile.

Emanuela Rinaldi
Emanuela Rinaldi

Quali fattori frenano l’Italia?

Competenze matematiche deboli, un tabù culturale e la mancanza di progetti di qualità strutturati. La correlazione tra matematica e alfabetizzazione finanziaria è molto forte e in Italia è un nodo ancora irrisolto. A questo si aggiunge una certa reticenza nel parlare di denaro con i bambini, sia in famiglia sia a scuola, anche per via della tradizione cattolica. Infine, mancano programmi nazionali continuativi: solo dal 2024 il tema è entrato ufficialmente nelle aule. Altri Paesi, come Spagna, Stati Uniti o Finlandia, hanno strategie più consolidate e i risultati si vedono.

I dati PISA mostrano che quasi un quindicenne su cinque non raggiunge il livello minimo di competenze. È un segnale preoccupante?

Sì, ma con qualche cautela interpretativa. Molti indicatori si basano su modelli anglosassoni e non considerano alcuni comportamenti virtuosi degli italiani. Per esempio, un’indagine Ipsos per Acri mostra che la propensione al risparmio resta alta nel nostro Paese. Certo, saper risparmiare non basta: senza competenze su rischi, investimenti e diversificazione si è più vulnerabili. Quindi la mancanza di competenze di base resta un gap da colmare.

Perché iniziare dall’infanzia?

Perché la socializzazione al denaro inizia ben prima della scuola. I bambini osservano pagamenti, acquisti online e scelte dei genitori fin da piccoli. Gli studi indicano che già a 5 anni possono capire concetti economici semplici, soprattutto se proposti attraverso giochi, simulazioni ed esercizi. Non è l’età che fa la differenza, ma l’esposizione alle situazioni reali. Un esempio efficace viene da uno studio condotto su bambini indiani purtroppo costretti all’accattonaggio: a 5 anni hanno già competenze finanziarie elevate, non per capacità cognitive innate, ma per la loro esperienza quotidiana.

Come avvicinare i bambini ai temi economici?

Nel libro La paghetta perfetta incoraggio i genitori ad agire su due fronti. Il primo è il budget: tenere traccia di entrate e uscite migliora la consapevolezza finanziaria. Il secondo è introdurre gradualmente i concetti di base, non per formare “piccoli capitalisti”, ma per mostrare che il denaro è una dimensione importante della vita. Cruciale è anche la capacità di differire la gratificazione: se un bambino vuole un gioco, si può ragionare insieme su costo, risparmi disponibili e tempo necessario per raggiungere la cifra. 

L’educazione finanziaria inserita nell’educazione civica è sufficiente?

È un primo passo, ma le 33 ore annuali della materia devono coprire molti ambiti: digitale, ambiente, legalità, finanza. Per potenziare la formazione in aula, bisognerebbe affiancare la scuola con interventi co-progettati anche con enti esterni qualificati, che offrano percorsi complementari di qualità.

Che tipo di percorsi?

Continuativi, con una visione di lungo periodo, obiettivi misurabili e una vera co-progettazione. Significa che gli enti che promuovono le iniziative devono coinvolgere insegnanti, studenti, famiglie. Anche la misurazione dell’impatto è fondamentale: senza valutazione non c’è miglioramento.

Fin da piccoli emergono differenze di genere nella financial literacy. Da dove nascono?

La socializzazione economica è permeata di stereotipi che influenzano il rapporto con il denaro. Conta il modello familiare: quando la madre ha un livello di istruzione più elevato, le figlie tendono ad avere conoscenze maggiori. Influiscono le rappresentazioni mediatiche, dove i riferimenti femminili sono ancora pochi. Quando chiediamo a ragazze e ragazzi di citare figure di successo, quasi tutti nominano uomini: Musk, Soros, Buffett. Questo pesa sulla capacità di negoziazione: spesso le donne chiedono meno degli uomini in termini di stipendi o avanzamenti di carriera. Con Obiettivo EFFE lavoriamo proprio su questi aspetti.

In che modo?

Con progetti come Donne contanti, un libro gratuito che raccoglie storie di modelli femminili, o l’EFFE Summer Camp, un campo estivo gratuito per ragazze adolescenti, a Milano, che combina competenze finanziarie, imprenditoriali e soft skills.

Qualche consiglio per i giovani?

Tenere un budget: è la base di qualsiasi competenza finanziaria. Parlare di finanza con amici e persone di fiducia, perché aiuta anche a evitare gli errori. E informarsi attraverso fonti sicure e affidabili, come i portali di Banca d’Italia o del Comitato Edufin.