Guerra ibrida, ma anche cognitiva, cyber e sintetica. Siamo già in prima linea e non ce ne siamo accorti?

Guerra ibrida, ma anche cognitiva, cyber e sintetica. Siamo già in prima linea e non ce ne siamo accorti?

“Siamo ovunque”. Questo è il testo del video promozionale del Gruppo di Guerra Psicologica di Fort Bragg. Conosciuto come la 4ª Psychological Operations-Airborne, o 4 PSYOP, è specializzato nell’“usare il potere della mente per persuadere opinioni e discorsi” tra i nemici della nazione. Se vogliamo parlare di guerra ibrida, i ragazzi della 4ª PSYOP sono le persone giuste da cui imparare. Facciamo il punto.

enrico verga defence tech

La guerra ibrida spiegata facile

Il termine “guerra ibrida” è, in apparenza, nuovo. In verità, anche scomponendolo grazie alle parole del nostro ministro della Difesa Guido Crosetto si possono elencare tre principali gruppi di “aggressioni” che contribuiscono a creare la guerra ibrida: guerra cognitiva, guerra cibernetica e guerra sintetica. Il termine stesso “guerra ibrida” sembra essere fortemente legato a uno dei tre elementi che la compongono: la guerra cognitiva.

Allo stato attuale non esiste uno stato di belligeranza tra la Russia e l’Unione Europea, o tra l’Alleanza Atlantica (NATO), e la Russia. Tuttavia, esiste una crescente tensione da parte dei leader europei a creare una qualsivoglia ragione per mantenere la popolazione europea in uno stato di agitazione che, caso vuole, rientra tra le strategie di manipolazione della 4ª PSYOP di Fort Bragg.
Scomponendo quindi la guerra ibrida nei suoi elementi fondanti, si può mappare un fenomeno di caos cognitivo che, negli ultimi 3 anni di conflitto ucraino-russo, si è sempre più esteso nella popolazione europea.

Guerra cognitiva, tarlo di ogni democrazia

La manipolazione dell’opinione pubblica è un fenomeno antico quanto la democrazia. In effetti la prima democrazia del mondo moderno, quella americana, nacque anche grazie a una fake news.
Quando i primi cinque patrioti, coloni britannici di Boston, caddero nello scontro contro le giubbe rosse, Paul Revere, allora argentiere e incisore, creò la famosa incisione (poi ripresa e stampata da tutti i giornali dell’epoca) “The Bloody Massacre Perpetrated in King-Street”. Paragonato a oggi, l’impatto mediatico sui coloni fu come quello della foto della (seconda) bandiera issata a Iwo Jima, o della bambina bruciata dai bombardamenti americani in Vietnam che correva piangendo con la pelle a brandelli che si staccava cadendo sulla strada. A volte un’immagine vale mille parole.

Ma Revere, divenuto poi uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, sapeva qualcosa che oggi, col senno di poi, sarebbe giustamente ritenuto politicamente scorretto. Cinque coloni bianchi caduti per la libertà valevano più di quattro. Così il primo caduto, Crispus Attucks, uno schiavo nero (allora il linguaggio verso gli afroamericani era politicamente scorretto), venne volutamente sbiancato. E i coloni ebbero un quinto eroe. Il resto è storia.

Manipolare una nascente democrazia, dove la maggioranza dei cittadini è analfabeta, è relativamente facile. Si potrebbe supporre che oggi, con la pervasiva presenza dei media prima e dei social media poi, la manipolazione della democrazia sia complessa e costosa. Nulla di più sbagliato; grazie al mondo digitale e le ultime sue evoluzioni come gli algoritmi (comunemente definiti AI) è ancora più semplice. Figlia della propaganda, la guerra cognitiva è la completa rielaborazione di ogni fonte di informazione formale (media di ogni sorta) e informale (amici, parenti, vicini di casa). In questo modo il bersaglio viene avvolto in una bolla cognitiva dove l’accesso a informazioni vere è di fatto precluso. Il soggetto quindi, senza percepirlo, avrà una visione su un dato evento che verrà decisa a monte da un’entità terza (un “Deus Ex Machina”, come la brigata americana di cui sopra). Vi sono almeno tre elementi che compongono una strategia di guerra cognitiva.

Prima di tutto l’ignoranza cognitiva. È quel fenomeno che, in rapida diffusione, fa sì che i cittadini democratici abbiano sempre meno interesse ad approfondire le notizie, fidandosi sempre più di comunicazioni quanto mai limitate e visive. Questo elemento non è causato da un “Deus Ex Machina”: è la triste evoluzione della popolazione occidentale, sempre più incline alla minor fatica intellettiva.

Minore è l’interesse per l’approfondimento di un fatto (facilmente acquisibile grazie a una ricerca su Google che vada oltre la seconda pagina dei risultati), maggiore è l’ignoranza delle masse. Viviamo in un momento della storia scritta in cui le informazioni sono soverchianti. La capacità di discriminazione è alla base di una sana politica di informazione per uso personale. Tuttavia, la crescente distrazione offerta dalla crescente massa di stimoli spinge l’individuo a divenire sempre più ignorante. La semplificazione dei messaggi ai limiti del ridicolo è poi un’involuzione del linguaggio a cui, sempre di più, le nuove generazioni si stanno allineando.

Già Tocqueville spiegava la relazione tra linguaggio e democrazia, alcuni secoli dopo Orwell in 1984 aveva spiegato come controllare il popolo definendo uno spettro di vocaboli. Riducendo o plasmando i vocaboli, la plebe veniva spinta verso un orientamento rispetto a un altro. Ma riducendo interi concetti a semplici icone si produce un’ulteriore involuzione del linguaggio che permette una avanzata manipolazione della massa popolare. Se a questa forma contratta di linguaggio si aggiunge un percorso scolastico sempre più carente, e intelligenze artificiali (algoritmi) che “leggono per noi”, si comprende come l’ignoranza cognitiva, pur in un momento di accesso a una mole di informazioni infinita (per la vita umana), sia un fenomeno in veloce diffusione in tutte le democrazie, specialmente quelle più occidentali, dove la percezione comune — soprattutto delle nuove generazioni — è che “tutto sia dovuto”. Un fenomeno meno presente nelle giovani democrazie come la Cina e in tutte quelle nazioni i cui cittadini attribuiscono ancora un grande valore allo studio e all’aggiornamento come strumenti per emergere e ascendere la scala sociale (o le caste, come nel caso dell’India rurale).

Il secondo elemento della guerra cognitiva è la saturazione cognitiva. Derivata dalle tattiche belliche (fuoco di saturazione), implica un bombardamento massiccio e costante del bersaglio in modo da renderlo sempre più incapace di muoversi. In ambito mediatico, questo significa saturare la capacità dell’individuo di comprendere ciò che lo circonda, generando di fatto una sorta di passività intellettuale (assimilabile all’immobilizzazione dei soldati in trincea), per cui il bersaglio attende — nei casi migliori — oppure è spinto ad accettare il suo destino o qualunque soluzione gli venga presentata.

Semplificando molto, è come quando ci si trova a un concerto e la musica è a un livello che sovrasta la capacità di ogni individuo di farsi sentire dal vicino di danza. La cornucopia crescente di quantità e qualità di contenuti che vengono sfornati oggi sia dalle industrie di riferimento sia dai singoli cittadini (prosumer) fa sì che il singolo individuo, oppure le masse, possano essere a tal punto saturi di contenuti (visivi, uditivi, testuali) che la capacità di discriminazione degli stessi viene meno.

Il terzo elemento — forse quello più visibile anche nei discorsi dei politici occidentali — sono le fake news, o più generalmente quella massa di contenuti creati, in modo volontario o involontario, dalle industrie del settore o da cittadini prosumer, che veicolano informazioni o stati d’animo non corrispondenti alla realtà. In passato la semplice propaganda si focalizzava su questo terzo elemento.

La creazione di notizie false, in questi 3 anni di guerra, non è stata una dottrina perseguita solo dal “nemico” (quindi la Russia). In vero, come lo scrivente ha dimostrato di recente in un analisi sulle Fake News accreditate a Putin, Molte delle informazioni che hanno connotato i principali eventi di questi tre anni di guerra sono state riportate in modo errato (volutamente o per ignoranza: questo sarebbe opportuno dimostrarlo). Dalla distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2: inizialmente Putin fu indicato come mandante, salvo poi scoprire che erano stati terroristi e militari ucraini… sino agli sciami di droni che avrebbero invaso i cieli occidentali, salvo poi scoprire che, quando arrestati per essere interrogati, i cosiddetti “piloti” non erano cittadini russi ma turisti asiatici o tedeschi. Il relativo successo di questo tipo di notizie ha permesso di influenzare i cittadini, o almeno una parte di essi, sul rischio che la Russia possa invadere non solo il territorio ucraino ma anche nazioni dell’Alleanza Atlantica.

Chiarito cosa sia la guerra cognitiva definiamo gli altri due elementi: guerra cibernetica ed effettori sintetici.

Guerra Cyber

La diffusione delle tecnologie digitali, in particolare dei social media e IA, ha permesso una crescente connessione tra cittadini, aziende e governo. Ormai oltre il 70% della popolazione mondiale è connessa alla rete, o ne ha potenziale accesso. È bene considerare che la capacità di utilizzare e diffondere virus, o altre tattiche aggressive che portino danni a infrastrutture elettroniche e agli assetti che esse controllano, è una cosa vecchia di decenni.

Uno dei più famosi attacchi cibernetici, che causarono un’esplosione in un oleodotto, venne elaborato e portato a termine dalla CIA ai danni dell’allora Unione Sovietica. Nel gennaio 1982, gli Stati Uniti volevano impedire all’Europa occidentale di importare gas naturale sovietico. C’erano inoltre segnali che i sovietici stessero tentando di rubare una vasta gamma di tecnologie occidentali. Poi un informatore del KGB rivelò la lista precisa degli obiettivi di acquisizione, e la CIA fece arrivare ai sovietici il software difettoso in modo che non potessero rilevarne la natura. Il presidente Ronald Reagan approvò un piano della CIA per sabotare l’economia dell’Unione Sovietica tramite trasferimenti segreti di tecnologia contenente malfunzionamenti nascosti, incluso un software che in seguito provocò una gigantesca esplosione in un gasdotto di gas naturale siberiano. All’epoca non esisteva Internet, quindi il virus venne veicolato con un supporto fisico.

Oggi, con la rete, diffondere virus è molto più facile. I bersagli di attacchi informatici possono essere colpiti da tre principali tipi di attori: indipendenti (hacker che richiedono riscatti dopo aver sequestrato infrastrutture digitali legate ad aziende di servizi), aziendali e nazionali.

Il primo gruppo è emerso negli ultimi anni, destando shock e preoccupazione tra i politici, spingendoli persino a negare l’evidenza. Nell’estate 2024, per esempio, la città di Columbus (Ohio) è stata colpita da un grave attacco ransomware del gruppo Rhysida. I criminali hanno sottratto oltre tre terabyte di dati sensibili, tra cui informazioni personali, sanitarie, numeri di Social Security e immagini di patenti. Nonostante il sindaco Andrew Ginther avesse affermato che i dati pubblicati fossero in gran parte inutilizzabili, il ricercatore informatico Connor “Goodwolf” (David Leroy Ross) ha scoperto che l’entità del furto era molto più seria. Dopo che Goodwolf ha reso note queste informazioni, la città lo ha denunciato e ha richiesto un’ingiunzione per impedirgli di divulgare ulteriori dati.

Gli attacchi nazionali sono quelli causati da unità cyber parte degli eserciti o delle agenzie segrete degli Stati. All’esempio della CIA di cui sopra si possono aggiungere gli attacchi di unità iraniane, israeliane, russe, cinesi e coreane contro i loro rispettivi antagonisti.

Gli attacchi aziendali formalmente non esistono. Le aziende più grandi hanno dipartimenti IT che si occupano di proteggere dagli attacchi esterni i principali assetti aziendali. Tuttavia, con l’espansione nella sfera politica, militare e sociale degli interessi delle aziende, è plausibile pensare che i grandi gruppi svilupperanno relazioni con agenzie esterne che possono fornire servizi di guerra cibernetica in ottica difensiva e offensiva. Già oggi una società come Palantir, che fornisce servizi digitali al governo ucraino, potrebbe essere un candidato ideale per osservare sino a che punto l’attività bellica offensiva digitale dell’ucraina sia basata (quindi si avvalga) di servizi digitali di un’azienda privata quando devono essere strutturate strategie digitali.

Combinando la guerra cognitiva con attacchi cibernetici si può già ottenere risultati validi sia per attacchi effettivi sia per generare false flag (finti attacchi da attribuire a terzi). Tuttavia è il terzo elemento della cosiddetta “guerra ibrida” che può elevare il livello di tensione a costi ridotti ma con un Ritorno di Investimento massiccio.

Guerra sintetica

I primi a usare i droni furono tedeschi e francesi. I primi con i Goliath, soluzioni ammazza carri nemici, i secondi con alcuni cingolati radio guidati. Gli Usa da decenni utilizzano droni militari, imitati da altre nazioni. Ma il vero passo avanti lo si è fatto “sdoganando” e istituzionalizzando una guerra con droni a basso costo, per lo più ad uso civile in seguito militarizzati, come ho spiegato su queste pagine. Quello che oggi esiste come droni, con una rapida evoluzione verso modelli sempre più sofisticati in grado di coprire quasi tutto lo spettro delle funzioni di combattimento sul campo (dai droni scout ai droni per il trasporto di feriti), è solo l’inizio.

In futuro assisteremo a uno schieramento completo di droni su aria, terra, mare e persino nello spazio. Di fatto, i droni e le loro applicazioni, osservate oggi in Ucraina, stanno rispetto al futuro come la guerra dei Boeri (e i suoi orrori, come i campi di concentramento istituiti dai britannici) stava rispetto alla Seconda guerra mondiale: l’inizio di un nuovo tipo di conflitto e di armamenti, non il suo epilogo.

Combinare una strategia di dispiegamento di sintetici con attacchi cibernetici e guerra cognitiva può portare a scenari oggi solo plausibili ma, tecnicamente parlando, già dispiegabili.

Con la guerra ibrida aumentano le zone grigie

Grazie alla mappatura digitale, tramite il dark web, delle identità di un dato gruppo etnico o religioso presente in una città, vengono identificati potenziali bersagli. Il leader di un gruppo politico estremista, intervistato da un giornalista della tv di stato, nega che vi siano cellule violente nelle sue fila, tuttavia ammette di non poter controllare tutti i suoi associati.

In un cantiere per la costruzione di un nuovo edificio viene consegnato un container a fine turno. Gli operai lo lasciano lì, per aprirlo il giorno successivo. La mattina presto, quando i primi operai arrivano al cantiere, il container si apre dall’alto e sciami di droni a medio raggio (5 km) escono e si disperdono nel cielo. Ogni drone è collegato a un sistema satellitare che trasmette un video feed.

I primi droni, con un carico esplosivo paragonabile a una bomba carta, colpiscono in faccia i cittadini bersaglio, che sono stati tracciati grazie ai loro dispositivi digitali accesi e alla mappatura delle loro posizioni tramite social media.

Le autorità nazionali diffondono la notizia che un gruppo di estremisti, parte di un partito emergente ma con idee radicali, è sospettato di questo attacco. Il gruppo emergente viene quindi dichiarato illegale, ma non si trovano tracce di collegamenti reali tra l’attacco e chi li ha guidati.

Nei giorni successivi, il partito moderato al governo vara immediatamente una stretta sulla libertà di connessione alla rete, imponendo l’obbligo di certificare tutti i collegamenti. Chi sarà stato ad azionare i droni? Chi ci ha guadagnato in termini di potere o denaro?

L’esempio, ovviamente, è di pura fantasia, ma tutte le singole azioni e tecnologie descritte esistono già. Considerando che la guerra cognitiva e le false flag (attentati violenti dove si accusano innocenti per screditarli mediaticamente) sono ormai all’ordine del giorno, e che la democrazia è sempre più a rischio, chi potrebbe trarre beneficio da uno scenario del genere: il partito al governo per mantenere il potere o quello emergente antagonista?