Il monito di Alessandra Luksch: «Perché in Italia c’è il rischio di uno stallo pericoloso dell’Open Innovation»

Il monito di Alessandra Luksch: «Perché in Italia c’è il rischio di uno stallo pericoloso dell’Open Innovation»

Negli ultimi otto anni l’Open Innovation si è ampiamente diffusa nella maggior parte delle grandi imprese italiane, passando dal 57% dei casi registrato nel 2018 all’86% nel 2025, come rilevato dalla ricerca dell’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano. Un dato che indica un ampio interesse e una significativa crescita negli anni, sostenuta, a cavallo del 2020, anche dal fenomeno Covid-19 che ha portato le imprese ad ampliare le collaborazioni con startup per contrastare gli effetti della pandemia. Negli ultimi due anni però, il valore si mantiene stabile, forse a suggerire il raggiungimento di un plateau di maturità.

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Cosa si intende per Open Innovation in Italia?

In prevalenza di attività di tipo inbound (nel 97% dei casi), cioè azioni volte a valorizzare internamente spunti di innovazione nati esternamente all’impresa, come collaborazioni con università e centri di ricerca, scouting di startup e partecipazione a call4ideas o contest. Sono meno praticate le attività outbound (49%), per valorizzare esternamente spunti di innovazione nati internamente all’impresa. Fra queste, spiccano la creazione di piattaforme digitali per abilitare nuovi modi di creare valore, le Joint-Venture e il recente fenomeno del Corporate Venture Building. Questo sbilanciamento è naturale e lo si ritrova anche fuori dall’Italia, a causa della maggior necessità di risorse e competenze interne per sviluppare l’outbound rispetto all’inbound. Ma la differenza sottolinea anche come l’Open Innovation sia maggiormente utilizzata per assorbire conoscenza e pratiche esterne, limitando la valorizzazione dell’innovazione prodotta internamente.

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Un elemento studiato dalla ricerca nel 2025 riguarda il coinvolgimento del Top Management. Sebbene il vertice aziendale sia attivo nei processi di sviluppo di Open Innovation, solo nel 20% delle imprese esso dimostra un orientamento proattivo. Prevale un approccio prudenziale e attendista. Tale atteggiamento è legato ad una dinamica non ancora risolta nelle imprese: la misurazione degli impatti dell’Open Innovation è ancora limitata e qualitativa, con orizzonti temporali a volte sganciati dal business as usual.

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Alessandra Luksch

Nel complesso i risultati della rilevazione 2025 evidenziano come l’Open Innovation oggi non sia più considerata una scelta opzionale per le imprese ma nel contempo mantenga ancora uno stato di sperimentazione che non consente un consolidamento effettivo di queste pratiche (facendole diventare strutturali) e il riconoscimento da parte del vertice aziendale. A completare il quadro si aggiunge lo stato dell’ecosistema delle startup italiane, ancora sottosviluppato rispetto ai Paesi europei a noi confrontabili: si denota difficoltà a raccogliere investimenti in equity (intorno a 1,5 miliardi di euro nel 2025), una stagnazione nelle prospettive, pochi “unicorni” e un’incapacità strutturale nel generare exit di successo, profilo di un paradosso che non riflette le dimensioni e l’importanza dell’economia italiana nel mondo.

L’Open Innovation italiana è in una fase di maturazione intermedia nel proprio percorso di adozione. Dopo anni di sperimentazione, è necessario compiere un cambio di passo. Le chiavi sono molteplici. Innanzitutto, è necessario integrare l’Open Innovation nella strategia complessiva, di innovazione e di business delle imprese. Poi, è fondamentale dotarsi di strumenti per misurare gli impatti in modo continuativo, con metriche di misurazione che riflettano i bisogni e le strategie di business. Bisogna favorire la crescita delle startup e sviluppare molteplici formule di collaborazione con le imprese: gli esempi sono i più diversi, dal venture clienting alle joint venture, al corporate venture capital (oggi al 25% come componente dell’equity).

Dalla ricerca emerge chiaramente come le organizzazioni che dispongono di un sistema di gestione dell’innovazione più maturo e formalizzato registrino benefici maggiori, sia economici che organizzativi. Passare da iniziative frammentate a un approccio strutturato può essere la leva decisiva per valorizzare pienamente l’Open Innovation, trasformandola da un’attività percepita come accessoria ad un elemento essenziale dei processi di innovazione delle imprese italiane. Il rischio è quello di fermarsi in uno stallo pericoloso.