«I nostri obiettivi puntano ad arrivare alla fase clinica. Quest’anno abbiamo raccolto 83,5 milioni di euro nel Serie A. La vittoria del premio Startup of the Year a SIOS25 è arrivata in un momento di grande orgoglio». Daniele Catalucci, co-founder di Nanophoria, ha ricevuto sul palco di SIOS25 il riconoscimento che da dieci anni ha mappato le migliori startup grazie al contributo e alle competenze della nostra giuria.
Cosa fa Nanophoria
Fondata nel 2022 da Daniele Catalucci, Michele Iafisco, Alessio Alogna e Claudio De Luca, Nanophoria è uno spinoff del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano. L’azienda sta sviluppando una piattaforma versatile per la somministrazione nano-in-micro e dal polmone al cuore, basata su nanoparticelle di fosfato di calcio inorganico.
Il primo prodotto dell’azienda è un trattamento in fase preclinica per l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), una sindrome cronica che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Nanophoria è supportata da Sofinnova Partners, XGEN Venture, CDP Venture Capital e altri investitori. Di seguito trovate la nostra intervista a Daniele Catalucci per farci raccontare le prospettive dell’azienda in un mercato chiave come quello del biotech.

In che momento del vostro percorso è arrivato il premio di Startup dell’anno?
Un momento di orgoglio e soddisfazione. L’azienda è stata fondata nel 2022 e abbiamo chiuso il primo round seed grazie a Sofinnova Telethon, con il quale abbiamo esteso quel che avevamo generato a livello accademico. Quest’anno abbiamo vinto un grant europeo, l’unica biotech a ottenerlo. Abbiamo poi chiuso il round Serie A da 83,5 milioni di euro. Questo ci dà grande soddisfazione: vogliamo estendere i nostri studi e arrivare fino alle fasi cliniche.
Che problema vuole risolvere la vostra biotech?
Risolvere alla radice le malattie cardiovascolari. Abbiamo una serie di innovazioni: si trovano nel principio attivo, un terapeutico biologico che agisce mimando meccanismi fisiologici. E poi c’è una piattaforma che ci dà la possibilità di trasportare i terapeutici direttamente alla cellula del corpo mediante un processo non invasivo e semplice, l’inalazione.

Quanto arriverà questo farmaco?
Nel campo clinico c’è molta strada da fare. Sicuramente gli obiettivi sono di arrivare alla fase clinica sulle persone sane e poi ai pazienti in Fase 2. Parliamo di 8/10 anni.
Nanophoria è stata fondata tre anni fa: come ci siete arrivati?
Alle spalle ci sono molti anni di lavoro in laboratorio, per quanto riguarda la scoperta del principio attivo. A un certo punto dei miei studi ho cominciato a interagire con un collega del CNR, Michele Iafisco, che è diventato cofondatore di Nanophoria. Gli altri co-founder sono Alessio Alogna e Claudio de Luca, che è il Ceo. Abbiamo tante esperienze all’interno del nostro team. Siamo riusciti a creare tutto il necessario per il proof of concept.

Che percorso hai alle spalle nel campo della ricerca?
Io nasco come biologo, all’Università Roma Tre. Ho fatto poi un dottorato di ricerca in biologia molecolare e cellulare presso l’IRBM di Pomezia, dove ho studiato terapia genica. Dopo sono andato all’estero: ho studiato all’Università di San Diego in California grazie a una borsa europea. Lì sono stato introdotto alla cardiologia. Ci sono rimasto per quattro anni e nel 2007 sono tornato in Italia, a Milano, dove ho iniziato la mia carriera al CNR. Sono state le basi che avrebbero portato alla fondazione di Nanophoria.
In Italia si discute della necessità di favorire il tech transfer, il passaggio dal laboratorio al mercato. Tu che hai lavorato negli USA che idea ti sei fatto?
Negli ultimi anni sta cambiando. Quando lavori in accademia non c’è un training che ti trasmette l’importanza delle scoperte e di come potrebbero essere sfruttate per risolvere problemi come nel nostro caso per creare farmaci. In Italia comunque la cultura del tech transfer sta crescendo.