A quale generazione di startup siamo arrivati oggi in Italia? «Direi che intravediamo la nascita della quarta. La prima è stata quella di Facile.it e MutuiOnline; poi sono arrivati i casi di successo come Satispay, brumbrum e Casavo; oggi siamo nel pieno della terza. Ma gli imprenditori che incontriamo sono già diversi: hanno imparato un sacco da soli, sono concentrati sugli obiettivi e sono davvero veloci». Lorenzo Franzi, Founding Partner di Italian Founders Fund, ha conosciuto l’Italia prima dall’estero per poi lanciare a Milano a fine 2023 un fondo concentrato sulla fase pre-seed e seed. Quella in cui non conta tanto il prodotto – che magari nemmeno c’è fatto e finito – quanto il talento delle persone su cui investire.
In questa nuova puntata del lunedì dedicata ai protagonisti del mondo investimenti abbiamo intervistato un italiano nato in Belgio e cresciuto in mezza Europa, tra studi, acceleratori e grandi aziende di consulenza. Classe 1983, Lorenzo Franzi è figlio di una famiglia aperta al mondo. Nel ramo paterno c’è una tradizione di diplomatici; in quello materno, belga, il focus è sull’imprenditoria.

Dritti al punto, per cultura
«La cultura fiamminga è molto diretta e si parla di business in maniera davvero naturale». Dopo le superiori ha studiato management e finanza per poi iniziare la sua carriera nel mondo bancario con JP Morgan. «Poi però mi sono accorto che volevo vedere le grandi aziende dal dentro. E ho scelto di spostarmi in McKinsey». Gli anni sono quelli successivi alla crisi del 2007/2008, preistoria per le startup. Perlomeno in Italia.
«In Francia, dove ho lavorato in un acceleratore a fare business development per una startup, le cose cominciavano a muoversi». Nel 2013 l’aria era in parte simile a quella che si respira oggi in Italia. «C’era ancora Hollande e il mondo delle startup aveva un approccio senz’altro più ribelle». Bisognava sgomitare per farsi notare, anche se di lì a pochi anni sarebbe arrivato Macron, che all’Eliseo, le startup, le ha convocate più volte per costruire la startup nation che oggi è la Francia.

Cosa serve a un ecosistema per scalare
La scintilla che fa cambiare ed evolvere un ecosistema non è tanto una tecnologia in particolare, ma a giudicare dalle tante testimonianze che abbiamo raccolto in tutti questi anni su StartupItalia conta un elemento immateriale, eppure dannatamente concreto. «Le prime storie di successo hanno fatto sì che in Francia cambiassero le cose. Da Criteo è sbocciata una seconda ondata di imprenditori. Le persone iniziavano a capire che si poteva fare. In più c’erano i social che aumentavano la possibilità di leggere e scoprire le storie americane. Poi ovviamente è arrivata BPI».
Dopo l’esperienza in McKinsey Lorenzo Franzi ha deciso di lanciare nella sua prima startup, Zipjet, una sorta di Deliveroo per i servizi domestici. «L’ho lanciata con Rocket Internet tra 2013 e 2014 e abbiamo aperto a Londra, Berlino e Parigi. In tutto la startup ha raccolto 20 milioni di euro. E alcuni di quelli che ci hanno creduto sono saliti a bordo del progetto di Italian Founders Fund».

In quel momento ha fatto l’esperienza del founder sulla propria pelle. «Molto bella e molto dura. Non c’era nulla di tecnologico su cui costruire la startup, abbiamo dovuto sviluppare la tecnologia e poi occuparci di tutte le operations fisiche. I clienti erano super viziati perché i competitori erano aziende del calibro di Uber».
Founder per i founder
Dopo l’exit Lorenzo Franzi si è spostato nel mondo VC, entrando nel fondo di investimento di Rocket Internet dove si è occupato da vicino anche del mercato italiano. L’idea di un fondo per i founder fatto da founder non è nuova: il Founder Fund più famoso al mondo è quello di Peter Thiel, personaggio centrale nella Silicon Valley (da PayPal a Palantir con in mezzo un sacco di altre cose) che sonda il mercato partendo dai talenti. «L’idea è proprio quella di essere founder per i founder. Dare un supporto che fa tanto oltre al capitale nei momenti iniziali di una startup».

IFF fa parte di Koinos Capital SGR, che ha integrato il fondo nella propria strategia per rafforzare il segmento del Venture Capital. Il primo closing di Italian Founders Fund è del 2023 e finora la società ha investito in 14 startup. «In nove casi abbiamo portato investitori stranieri». Ma perché secondo Lorenzo Franzi c’era un gap da colmare con questa iniziativa? «Era molto difficile raccogliere un aumento di capitale da pochi investitori tra il mezzo milione e il milione e mezzo. C’erano cap table molto complesse. I fondi storici non si muovono sotto i 2/3 milioni. Con cap table difficili da gestire il founder non pensa più all’azienda».
Abituato dunque a dialogare con founder alle prime armi Lorenzo Franzi ha un osservatorio privilegiato su una fucina diffusa. «Secondo me in Italia il rischio di buttarsi oggi e fondare una startup è veramente basso perché impari così tanto che anche se sbagli diventi comunque un talento. E sei più attrattivo agli occhi delle aziende. C’è poi più tolleranza rispetto a chi si assume rischi, anche se il prossimo stigma da abbattere è quello del fallimento».
A convincere un fondo come IFF di un investimento in realtà early stage non può che essere il carattere del founder. «Ci piace molto vedere efficienza, quantità di ricavi per dipendente. E ci importa vedere quanto veloci sono sul prodotto, quanto rapidi sono nel cambiarlo e nell’ammettere un errore».