Kechic, la sartoria sociale che unisce Milano e Dakar tra multiculturalità e upcycling

Kechic, la sartoria sociale che unisce Milano e Dakar tra multiculturalità e upcycling

Non un atelier come tanti, ma un luogo di incontro e di contaminazione culturale, uno spazio che crea opportunità e relazioni che vanno oltre la moda. Kechic è una sartoria sociale italo-africana che accoglie chi fa più fatica a trovare lavoro. Stoffe, colori e fili intrecciati diventano il linguaggio universale con cui costruire un dialogo. Un progetto nato dall’amicizia tra Valeria Zanoni, italiana, professionista della comunicazione, e Cheikh Diattara, senegalese, musicista, giocatore di basket in carrozzina e sarto. «Kechic ha sede a Milano e cuore in Africa», racconta Valeria Zanoni,. «All’inizio non pensavamo di farne un brand: tutto è cominciato in modo spontaneo, dal desiderio di costruire qualcosa insieme».

Una storia di amicizia e inclusione

Quando Valeria incontra Cheikh, nel 2018, lui è già in Italia da qualche anno. È arrivato nel 2013 in tournée con Handyritmo, una compagnia di musicisti e ballerini africani con disabilità. Si muove in carrozzina da quando ha otto anni, a causa della poliomielite. A Dakar ha vissuto al Centre Handicapés, dove ha imparato il mestiere di sarto. Dopo la tournée, è rimasto in Italia grazie allo sport: per anni ha giocato a basket, prima nel Cantù e poi nel Seregno. 

Valeria Zanoni, che lavora nella comunicazione e negli eventi, lo conosce durante un festival culturale alla Fabbrica del Vapore di Milano. «Seguivo l’ufficio stampa e mi ero messa a distribuire volantini al Parco Sempione. Lui era lì a suonare con altri ragazzi africani. È stato l’unico poi a presentarsi all’evento». Da lì nasce l’amicizia. Cheikh Diattara le chiede una mano per trovare lavoro come sarto, Valeria prova ad aiutarlo ma nessuna porta si apre. «Così, in uno slancio di entusiasmo e follia, ho pensato: “apriamola noi, la sartoria”. È un’idea che nasce da un bisogno. Forse se Cheikh fosse stato un pittore, avremmo aperto una galleria d’arte africana!», aggiunge sorridendo.

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Da Dakar a Milano

All’inizio nessuno dei due sapeva nulla di impresa o di moda, ma l’esperienza di Valeria nella comunicazione si è rivelata utile. «Siamo finiti su tanti giornali e questo ci ha aiutato a farci conoscere. Kechic è cresciuta grazie alle relazioni e alla rete che si è creata attorno a noi». Oggi, accanto a Valeria e Cheikh, lavorano altri sarti e collaboratori, come Keita, rifugiato politico del Mali, insieme a tirocinanti provenienti da percorsi di accoglienza e formazione professionale. «Negli anni abbiamo accolto molti giovani africani inviati dalla Caritas e dal Comune di Milano, ma anche studenti dell’alternanza scuola-lavoro. È bello vedere come questo posto sia diventato una piccola comunità». Da qualche mese Kechic collabora con un’altra sartoria sociale di Buccinasco. «Loro realizzano capi per grandi aziende e hanno una capacità produttiva più ampia, con 16 sarti. Noi ci rivolgiamo ai clienti privati, con una produzione più piccola e lenta. Così abbiamo deciso di unire le forze, ci aiuteranno nelle commesse più grandi».

Un salotto culturale tra racconti e riciclo

Kechic è un laboratorio di integrazione. «Qui lavorano persone che fanno fatica a inserirsi nel mondo del lavoro: chi non conosce bene la lingua, chi arriva da percorsi migratori complessi. L’obiettivo è offrire loro un’opportunità concreta per costruire una vita dignitosa e sentirsi parte di una comunità». È quello che Valeria definisce un salotto misto culturale: uno spazio dove si condividono esperienze e si intrecciano vissuti diversi. «Non si viene qui solo per ordinare un capo. Con i nostri vestiti raccontiamo storie di amicizia e di scambio, di sguardi reciproci. Kechic non è solo Italia, ma Italia con Senegal». Anche i capi rispecchiano questo dialogo tra le diversità. C’è la felpa broderie, una classica felpa arricchita da un collo ricamato a mano nello stile delle tuniche senegalesi, oppure quella ispirata al patchwork dei Baye Fall, i monaci-artigiani del Senegal, realizzata con gli avanzi di altre felpe. «È un po’ il nostro manifesto: raccontare e, allo stesso tempo, riciclare e riutilizzare. Nulla si butta nella nostra sartoria: utilizziamo gli scarti e i ritagli di tessuto anche per creare accessori o per i nostri laboratori». Oltre a confezionare capi su misura, Valeria e Cheikh organizzano infatti laboratori di upcycling e progetti culturali nelle scuole. «La componente culturale è il cuore di Kechic: far incontrare mondi diversi, costruire ponti, intrecciare fili. È la nostra identità».

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Ago, filo e futuro

Cosa insegna la storia di Kechic? «Che bisogna essere sempre aperti: anche gli incontri più casuali possono diventare grandi occasioni». Da questa esperienza, Valeria ha imparato anche la pazienza: «Non essendo una sarta, non sempre ho gli strumenti per risolvere subito i problemi. Ho imparato ad aspettare, a costruire passo dopo passo. Le cose belle richiedono tempo, fiducia e costanza». Oggi Kechic continua a crescere, tra nuove collaborazioni e storie da cucire. «Siamo un piccolo mondo dove persone, colori e culture si incontrano. È un’impresa titanica – come dice mio marito, cerchiamo di far volare gli elefanti – ma ci proviamo».