Diciamocelo senza giri di parole. Non è stato un anno facile per l’innovazione e raccontarlo come un trionfo sarebbe poco onesto. Gli investimenti non sono tornati ai livelli precedenti al 2022, il mercato resta selettivo, molte startup hanno rallentato e altre hanno chiuso, mentre la parola scalabilità – che spesso fa rima con internazionalità – è diventata più concreta anche se meno estesa. Di tutto questo ne abbiamo parlato anche nel nostro report di fine anno That’s Round con tutte le movimentazioni economiche, titolando un “bene ma non benissimo” che restituisce concretezza alla fotografia. In fondo c’è da dire che in Italia, come in Europa, il capitale è rimasto prudente, il contesto geopolitico ha continuato a pesare e l’intelligenza artificiale ha accelerato più velocemente della capacità delle organizzazioni di assorbirla davvero.

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Persone e tempo
Eppure il bicchiere non è mezzo vuoto e tutto questo lo si deve a persone che non aspettano il ciclo giusto, il contesto perfetto o il vento a favore e che provano a fare la differenza. Nel tempo. Persone, esattamente al plurale. Perché se anche parliamo al singolare, loro ti riportano al plurale. Sono i nostri fuoriclasse, 100 innovatrici e innovatori che abbiamo segnalato per ricordare al meglio l’anno che va via e aspettare quello che arriva. Il senso di questa lista – in ordine alfabetico e selezionata in base alle valutazioni giornalistiche della redazione – è ancorato agli aspetti cronachistici. Ma perché raccontare i 100? Perché vale la pena avere modelli. Non eroi né eccezioni miracolose. Si tratta di professionisti, imprenditori, ricercatori, attivisti che hanno fatto scelte precise dentro un contesto complesso: fondare, investire, resistere, crescere, cambiare settore, tornare o restare in Italia. Tutti legati a fatti concreti: un round chiuso, una tecnologia portata sul mercato, un progetto industriale che ha superato la fase pilota, una community costruita dal basso, un settore tradizionale rimesso in discussione. È il nostro stile, il nostro approccio: non raccontiamo un’innovazione che va sempre bene ma raccontiamo un’innovazione che prova a funzionare, nonostante tutto. E queste storie servono proprio a questo: capire chi sta costruendo oggi le basi del prossimo ciclo. Senza retorica o illusioni. Con la consapevolezza che l’innovazione non è una promessa ma è un lavoro quotidiano, spesso scomodo, quasi sempre imperfetto.

Allenarsi di continuo
C’è un elemento che tiene assieme tutte queste storie. Ed è la perseveranza. In fondo c’è un equivoco che ha fatto parecchi danni al racconto dell’innovazione: l’idea che basti esserci. Che l’innovazione sia soprattutto una questione di timing, storytelling o fortuna. Non è così. Se guardiamo davvero questi 100 fuoriclasse che abbiamo selezionato quest’anno, emerge un tratto comune che conta più del networking, più delle mode tecnologiche, più persino del capitale. La preparazione. Allenamento lungo, ostinato, talvolta invisibile ma essenziale. Non c’è nulla di improvvisato nei percorsi che funzionano. C’è metodo, c’è disciplina, c’è una quantità enorme di tempo speso a fare cose che non finiscono su LinkedIn.
Le diecimila ore
Studiare, studiare, studiare. Di più: fare pratica. Provare e riprovare. In un saggio che fece il giro del mondo nel 1993 lo psicologo americano Anders Ericsson, docente dell’Università del Colorado, quantificò la formazione necessaria per primeggiare: 10.000 ore il tempo stimato, ovvero circa 3 anni e mezzo di lavoro intenso e quotidiano, calcolando 8 ore al giorno. Ericsson analizzò un gruppo di giovani violinisti, ma dalla musica all’impresa il passo è breve. E allora conta più la genialità smisurata o la formazione costante? David Epstein, analizzando i campioni del baseball americano, concluse che il talento è come l’hardware di un computer, mentre l’allenamento è il suo software. Entrambi sono importanti e complementari. Anche se le proporzioni non sono analoghe, stando almeno all’analisi di Ernest Hemingway. Nel secolo scorso il pluripremiato scrittore americano sostenne che il successo è 1% ispirazione e 99% perspiration, ovvero sudore. E allora chiunque potrebbe primeggiare in qualsiasi disciplina, applicandosi intensamente. Ecco, i veri fuoriclasse non emergono per illuminazione improvvisa, ma dopo diecimila ore di pratica deliberata. Studio, errori, ripetizione, miglioramento continuo. Perché diecimila ore significano anni in cui non stai vincendo, non stai crescendo a doppia cifra, non stai facendo headline.

La fatica come competenza
Mario Calabresi, nel suo ultimo libro Alzarsi all’alba, lo scrive senza giri di parole: «Si è fatta strada l’idea che sia possibile raggiungere risultati, conquistare traguardi, compiere imprese senza fare fatica. Non è mai stato chiaro come possa essere possibile, ma l’illusione ha preso piede ed è stata abbondantemente coltivata». E aggiunge qualcosa che dovrebbe far riflettere. «Molta gente continua a fare la fatica. Ad alzarsi all’alba, a fare lavori ripetitivi e sfiancanti, a non avere orari. Silenziosamente, pensando di stare dalla parte sbagliata della storia». Ecco, i fuoriclasse non stanno dalla parte sbagliata della storia. Stanno dalla parte della fatica trasformata in valore, del tempo in competenza, della ripetizione in affidabilità. In fondo l’innovazione non è una scorciatoia sociale. È allenamento quotidiano quando nessuno guarda o scrolla. “L’ostinazione, non il talento, ha salvato la mia vita”. Così affermava Philip Roth. E se lo diceva lui, conviene crederci per davvero.