La giovane imprenditrice alla guida dell’azienda fondata dal nonno sul riciclo dei rifiuti: «Oggi aiuto altre mamme lavoratrici»

La giovane imprenditrice alla guida dell’azienda fondata dal nonno sul riciclo dei rifiuti: «Oggi aiuto altre mamme lavoratrici»

La sua vita per un po’ di tempo è stata divisa tra studio e lavoro, da una parte quella passione per la Giurisprudenza, da un’altra la volontà di dare una mano nell’azienda di famiglia, la FIMIC, fondata dal nonno nel 1963. Erica Canaia, classe 1985 di Asolo (Treviso), vive non lontano da Carmignano di Brenta (Padova), dove ha sede l’azienda. «Ho accusato il gender gap e oggi mi batto per aiutare altre mamme lavoratrici come me. Non dovrebbero mai esserci distinzioni di genere nel lavoro così come nella vita», ci racconta l’imprenditrice alla guida della FIMIC che si occupa di riciclo di rifiuti nella nuova puntata di Unstoppable Women.

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Erica Canaia, CEO FIMIC

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Erica, per lungo tempo ti sei divisa tra studio e lavoro, è così?
Sì, sono cresciuta tra studio e impresa: ho una laurea in Giurisprudenza e un master in ambito business, che ho affiancato fin da subito al lavoro in azienda. Questo mi ha permesso di costruire un percorso che tiene insieme numeri, persone e valori come etica, crescita personale, spiritualità e spirito di squadra, che sono il filo conduttore di tutto ciò che faccio, sia come imprenditrice sia come mamma.

Sei Ceo di FIMIC, azienda di famiglia fondata dal nonno nel 1963 che progetta e produce macchine per il trattamento e riciclo plastico, come è stato prenderne la direzione?
FIMIC è l’azienda che mio nonno Giuseppe ha fondato appunto 62 anni fa a Carmignano di Brenta: è nata come una piccola officina meccanica e, nel tempo, si è trasformata in un punto di riferimento internazionale per le macchine dedicate al trattamento e al riciclo delle plastiche. Assumerne la direzione è stato, allo stesso tempo, un atto di responsabilità e di amore verso la mia famiglia, le nostre persone e il territorio. Quando sono entrata in azienda eravamo una realtà molto più piccola; oggi siamo un team strutturato e FIMIC è presente in molti Paesi del mondo. Questo percorso di crescita, costruito passo dopo passo, mi ha insegnato che innovazione e risultati economici hanno senso solo se vanno di pari passo con la crescita delle persone e con un forte radicamento valoriale.

Ma tu sei la prima donna a ricoprire questo ruolo?
Si, sono la prima della famiglia. Entrare in un settore tecnico, storico e spesso percepito come “maschile” è stato sfidante, ma mi ha permesso di adottare uno sguardo diverso: più attento alla sostenibilità, al benessere interno, alla conciliazione tra vita privata e professionale e alla crescita personale di chi lavora con noi. Oggi sento di avere il compito – e il privilegio – di tenere insieme tre dimensioni: solidità industriale, competitività internazionale e cura profonda delle persone che ogni giorno costruiscono FIMIC insieme a me.

Riciclo plastico: l’Italia è campionessa ma c’è ancora tanto da fare per quanto riguarda la gestione dell’indifferenziato. Dal tuo punto di vista, quali sono oggi le priorità?
Anzitutto non dobbiamo dimenticarci il “grande irrisolto”: la gestione dell’indifferenziato e, in generale, di tutto ciò che oggi non entra nei circuiti di raccolta e selezione. Dal mio punto di vista, le priorità si giocano soprattutto su due livelli: culturale e normativo/comunitario. Per “culturale” intendo la necessità di ridurre l’indifferenziato alla fonte mentre l’educazione continua che passa per le scuole, i media e le aziende è necessaria per collaborare e capire davvero che cosa sia riciclabile e cosa no. Non bastano campagne spot una tantum. Altra priorità è la responsabilizzazione di consumatori e imprese: da un lato le persone devono essere messe nelle condizioni di scegliere meglio (informazioni chiare, imballaggi leggibili), dall’altro le aziende devono semplificare la vita a chi compra, riducendo gli imballaggi non riciclabili e favorendo riuso e refill. Anche a livello europeo c’è un gran lavoro da fare: da una parte, si devono armonizzare le regole perché ancora oggi esistono grandi differenze tra Paesi su raccolta, impianti, definizioni di “riciclo” e incentivi mentre una maggiore armonizzazione aiuterebbe a creare un vero mercato europeo del riciclato, con standard comuni e più economie di scala. Inoltre, si devono supportare le tecnologie di riciclo più avanzate: l’Europa deve sostenere, anche con politiche industriali e strumenti finanziari, le aziende che investono in soluzioni innovative, perché senza un tessuto industriale forte la transizione ecologica rimane sulla carta. Infine, si devono introdurre quote obbligatorie di materiale riciclato: oggi la plastica vergine viene spesso preferita perché costa meno. Senza un obbligo chiaro all’utilizzo di una percentuale minima di riciclato nei prodotti e negli imballaggi, il mercato farà sempre fatica a premiare davvero il materiale riciclato. Questo è un passaggio decisivo per chiudere il cerchio dell’economia circolare.

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Hai mai accusato il gender gap?
Sì, l’ho accusato, anche se non sempre in forma eclatante. Nel mio caso il gender gap si è presentato più spesso come una somma di piccole cose, di sguardi, di sottintesi, di aspettative diverse verso una donna rispetto a un uomo nello stesso ruolo. Nel mondo industriale e tecnico, lavorando in un settore molto maschile, mi è capitato più volte che, entrando in riunione o in visita in azienda, si desse per scontato che io fossi “la figlia di”, “l’assistente” o “quella del marketing”, e non la persona che avrebbe preso le decisioni. Spesso dovevo “guadagnarmi” il riconoscimento del ruolo più di quanto avrebbero dovuto fare colleghi uomini, dimostrando competenza tecnica e visione strategica prima ancora che venisse accettato il fatto che fossi io a guidare il tavolo. Nelle relazioni di business esterne a volte ho percepito chiaramente che l’interlocutore si rivolgeva più volentieri a figure maschili presenti (anche con ruoli meno decisionali) o che cercasse una conferma ulteriore quando la decisione finale arrivava da me. Non è quasi mai esplicito, ma lo senti: devi argomentare un po’ di più, rassicurare un po’ di più, spiegare un po’ di più. Ma soprattutto per quanto riguarda il difficile compito di riuscire a conciliare maternità e leadership: diventare mamma mentre sei CEO di un’azienda industriale fa emergere un altro tipo di gender gap, più sottile ma molto forte. Commenti come “chissà come fai con un bambino e tutto questo lavoro”, domande che a un uomo difficilmente verrebbero rivolte con la stessa frequenza. Dietro c’è ancora l’idea che una donna, per essere credibile in un ruolo apicale, debba quasi “nascondere” il fatto di essere madre o dimostrare che non è un limite.

E come hai affrontato questo periodo?
Queste esperienze non mi hanno fermata, ma mi hanno reso più consapevole. Oggi cerco di trasformare il gender gap che ho vissuto in un impegno concreto dentro FIMIC: creare un ambiente dove una donna in produzione, in ufficio tecnico o in ruoli manageriali non debba prima “giustificare” la propria presenza, ma possa portare il proprio talento sapendo di avere le stesse opportunità di crescita, di ascolto e di riconoscimento dei colleghi uomini. Per questa ragione in azienda è nata Mater Novissima, che permette alle persone di non doversi sentire obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia, soprattutto in un territorio come il Nord Est, storicamente molto orientato al lavoro e alla produttività e migliora l’equilibrio su tre piani: economico, organizzativo e culturale. Sul piano economico, la prima grande barriera per molti genitori è il costo della cura dei figli piccoli. Con Mater Novissima sosteniamo le spese dell’asilo nido nei primi tre anni di vita del bambino per le neo-mamme che lavorano in FIMIC e riconosciamo ai neo-papà un pacchetto di ore di permessi retribuiti ogni mese (25 ore) da dedicare alla famiglia, alla gestione dei figli e al supporto alla partner nel post-partum. In questo modo alleggeriamo due pesi molto concreti: il costo della cura e la mancanza di tempo. Mater Novissima non è solo un “bonus”, ma un modello organizzativo che mette al centro la genitorialità anche con l’introduzione di orari più flessibili e maggiore elasticità nell’organizzazione del lavoro, con il fine che: “Essere madre o padre qui non è un problema da gestire di nascosto, ma un valore che vogliamo proteggere”.
L’obiettivo è che nessuno si senta costretto a scegliere tra carriera e figli, e che frasi come “esco perché vado a prendere mio figlio” siano completamente legittime anche dette da chi ha ruoli di responsabilità.

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Quale è un po’ il tuo mantra oggi?
Direi che il mio mantra è “Se crescono le persone, cresce tutto il resto”. E per “tutto” intendo l’azienda, il fatturato, i risultati che arrivano davvero e in modo sano solo se prima crescono gli esseri umani. È il motivo per cui metto al centro valori come etica, crescita personale, spiritualità, spirito di squadra e sostegno reciproco: sono la base su cui si costruisce qualsiasi successo duraturo, nel lavoro e nella vita.

Quali progetti hai ora nel cassetto?
In questa fase i miei progetti nel cassetto sono molto concreti e guardano alla crescita del team di management, affinché i manager abbiano sempre più strumenti, autonomia e responsabilità con un duplice obiettivo: da un lato crescere professionalmente, dall’altro liberare parte del mio tempo per dedicarmi maggiormente a strategia, innovazione e studio, elementi fondamentali per continuare a far evolvere FIMIC. Poi voglio sostenere il settore verso l’obbligatorietà del riciclato supportando l’associazione dei riciclatori europei per contribuire a un cambiamento che considero decisivo: arrivare a una reale obbligatorietà dell’utilizzo di materiale riciclato e non solo di plastica vergine. Senza questo passaggio, la transizione verso un’economia circolare pienamente compiuta rimane incompleta. Infine, voglio portare avanti alcuni programmi di mentoring per le giovani donne del settore. Dedico parte del mio tempo al mentoring di ragazze e donne che lavorano nel mondo del riciclo plastico e dell’industria. È un modo per restituire ciò che ho ricevuto e, allo stesso tempo, per contribuire a costruire una nuova generazione di professioniste e leader consapevoli, in un ambito che è ancora prevalentemente maschile.