«La transizione è inesorabile. Oggi solare ed eolico costano meno delle fonti fossili»

«La transizione è inesorabile. Oggi solare ed eolico costano meno delle fonti fossili»

C’è un momento, in ogni grande trasformazione, in cui il cambiamento smette di essere una somma di singole innovazioni e diventa sistema. Non è più solo una turbina che gira o un pannello che cattura luce: è una rete che si attiva, competenze che si parlano, visioni che trovano un linguaggio comune. La transizione energetica funziona così. E in Italia, questa rete ha un nome preciso: Fondazione NEST.

NEST – Network for Energy Sustainable Transition – è il grande ecosistema nazionale dedicato alla transizione energetica sostenibile. Un partenariato esteso che mette in connessione università, centri di ricerca, imprese e istituzioni, con un obiettivo chiaro: trasformare la ricerca scientifica in soluzioni concrete, scalabili, capaci di incidere davvero sul sistema energetico del Paese. Promossa dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del PNRR e sostenuta da NextGenerationEU, la Fondazione opera attraverso un modello Hub & Spoke che coordina ricerca avanzata, formazione, trasferimento tecnologico e divulgazione, coprendo l’intera filiera della transizione.

Questo percorso trova il suo sviluppo il 19 e 20 febbraio 2026 a Roma, a Palazzo Rospigliosi, con un evento che non segna una conclusione, ma una nuova apertura sul futuro di NEST: un momento di restituzione del lavoro svolto e, insieme, di rilancio verso una nuova fase, più matura e più aperta al confronto con imprese, istituzioni e territorio. Due giorni pensati per mettere a fuoco risultati, traiettorie future e nuove alleanze, in uno scenario in cui l’energia è sempre più una questione strategica, economica e industriale.

In questo contesto, abbiamo parlato con il Presidente della Fondazione NEST, il Professore Francesco Cupertino, per fare un bilancio del 2025 e guardare avanti. Un confronto che intreccia metodo, risultati e visione: da ciò che NEST ha costruito finora alle sfide che attendono il sistema Paese nel prossimo futuro della transizione energetica.

Transizione
Professor Francesco Cupertino, Presidente Fondazione NEST

Presidente, che bilancio fa del 2025 per NEST?
Il 2025 ci lascia in eredità un’esperienza unica per dimensioni e impatto: NEST è, di fatto, il più grande progetto di ricerca mai finanziato in Italia sulle fonti energetiche rinnovabili e, più in generale, sull’energia. La cosa più importante che portiamo a casa è l’ampiezza del coinvolgimento: non solo tanti soggetti, ma tante competenze dentro ciascun soggetto.

Qual è l’elemento distintivo della ricerca in Fondazione NEST?
Nei progetti di ricerca classici, spesso ogni partner contribuisce con un singolo gruppo e una singola capacità. Qui, invece, in molte università sono entrati in gioco più dipartimenti e, dentro i dipartimenti, più gruppi di ricerca. È stato un esercizio concreto di multidisciplinarietà e di lavoro comune tra persone che, normalmente, faticano a trovare occasioni strutturate per collaborare.

Abbiamo definito NEST una sorta di “nazionale della transizione energetica”: tante competenze eterogenee messe a sistema. Come si tiene insieme una squadra così?
Una parte del metodo è stata, paradossalmente, la capacità di adattarsi ai vincoli. La struttura per spoke era imposta dal bando e, soprattutto, imponeva un limite numerico. Sembra un dettaglio, ma è stato il primo grande esercizio: fare sintesi, capire cosa ci univa, trovare fili conduttori solidi e, dentro quello schema, ospitare competenze diverse.

Poi c’è stata la sfida della comunicazione?
Dopo aver capito come tenere insieme gli spoke, dovevamo farli comunicare tra loro, creando trasversalità. Un esempio recente è l’iniziativa di divulgazione nei Paesi del Mediterraneo (Africa e Vicino Oriente): nasce da uno spoke, ma ha catturato l’attenzione di tutti, diventando un’iniziativa di progetto, non di singola area.

Questa trasversalità, però, come viene governata?
NEST coordina circa un migliaio di ricercatori. Servono procedure e un punto di contatto chiaro tra governance e spoke leader, in modo che le iniziative arrivino davvero fino al laboratorio più remoto, anche all’ultimo giovane ricercatore coinvolto. E posso dire che ci stiamo riuscendo.

Tra i risultati di cui va più fiero, ce n’è qualcuno che considera particolarmente strategico per il Paese?
Preferisco non fare classifiche per rispetto verso tutti i partner. Preferisco valorizzare le persone e i gruppi che spesso restano chiusi nei propri laboratori, ma che questa volta hanno lavorato insieme, si sono presentati in modo coordinato agli interlocutori industriali e hanno dialogato anche con il sistema politico con una credibilità diversa. È esattamente il ruolo che immaginavo per NEST: fare massa critica nella ricerca e diventare un interlocutore credibile per istituzioni pubbliche e private.

Come state lavorando, invece, per costruire una sintesi dei risultati raggiunti?
Stiamo pianificando incontri con i gruppi di ricerca, monitoraggi in presenza e anche il supporto di consulenti esterni. Ma soprattutto ho chiesto a un soggetto terzo autorevole, ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, di aiutarci a valutare i risultati. L’idea è mettere in forma ordinata ciò che abbiamo realizzato e farci restituire una sorta di pagella: non per creare una classifica, ma per far emergere cosa è davvero più significativo con lo sguardo di un esterno, evitando l’autovalutazione e i bias inevitabili di chi è coinvolto.

Transizione

Guardando alla transizione energetica italiana: a che punto siamo, dal suo osservatorio?
Se devo scegliere una parola: è inesorabile. Ci arriveremo. Possiamo arrivarci entro i target o fuori dai target: dipenderà da molte cause, ma la direzione è quella. Oggi l’Italia produce già circa il 40% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. E, cosa decisiva, solare ed eolico sono diventati più economici delle fonti fossili concorrenti.

Lei cita spesso la convenienza economica come driver. Ha un esempio concreto?
La Cina è l’esempio più chiaro. Per anni la si portava in aula come “problema”: crescita rapidissima e nuove centrali a carbone. Oggi la Cina è tra i primi investitori in fotovoltaico e accumulo perché gli conviene economicamente. Questo ci dice che la transizione non avanzerà solo per motivi ambientali, ma perché sarà la scelta più conveniente.

E dal punto di vista climatico, quanto dobbiamo preoccuparci nei prossimi anni?
Bisogna essere realistici: l’obiettivo di contenere l’aumento entro 1,5 °C sembra molto difficile, forse anche i 2 °C. I danni ci saranno e nel bacino del Mediterraneo l’impatto è particolarmente critico. Nei prossimi 10–15 anni potremmo vedere effetti significativi: e questo, insieme alla convenienza economica, sarà una doppia spinta verso un’accelerazione della transizione.

Se le rinnovabili costano meno, perché le bollette non lo raccontano?
È uno dei punti più critici. Il fatto che produrre da fotovoltaico costi meno non si riversa automaticamente sul costo per l’utente finale. Qui serve un ripensamento del meccanismo di formazione del prezzo dell’energia: è uno dei limiti maggiori per l’industria italiana. L’Europa dovrebbe concentrarsi molto di più su questo aspetto strutturale.

Cosa si aspetta dal 2026?
Il 2026 sarà l’anno dell’apertura di NEST verso l’esterno. Vorremmo coinvolgere di più i grandi operatori, soprattutto nazionali, del settore energetico e, più in generale, aumentare la presenza dei privati. Per farlo, dobbiamo far emergere in modo chiaro i risultati più maturi: salire di TRL, avvicinare la ricerca al mercato e costruire metodi nuovi e più efficaci di interazione tra industria e accademia.

Che tipo di ruolo vuole giocare NEST in questa fase?
Vogliamo diventare un interlocutore unico, capace di costruire soluzioni tecnologiche. Se un soggetto industriale ha bisogno di uno studio o di un progetto di R&S, invece di dover parlare con dieci dipartimenti e dieci università diverse, può venire da noi: NEST costruisce la soluzione mettendo insieme le competenze dei partner e gestendo le attività in modo integrato. È particolarmente utile per le imprese medie, che spesso non riescono a interagire con una pletora di interlocutori.

Questo approccio vale anche per la formazione avanzata?
Sì. Pensiamo anche alle grandi iniziative di dottorato di ricerca, che sono uno strumento decisivo per generare capacità di innovazione. NEST può coordinare queste iniziative, facilitare percorsi di formazione per la rete di giovani ricercatori e creare valore per università, imprese e persone che poi entreranno nel mercato del lavoro.

Lei menziona l’imprenditorialità come punto di orgoglio. Perché è così importante in un progetto di ricerca?
Perché il sistema italiano è fortissimo nel produrre nuova conoscenza e innovazione scientifica. Ma siamo più indietro sul trasferimento tecnologico e sulla valorizzazione dei risultati. Nei percorsi STEM, la preparazione alla creazione d’impresa è spesso carente: fare impresa non è solo leggere un bilancio, ma capire strumenti, rischi, team e dinamiche di mercato. Le iniziative di avvicinamento all’imprenditorialità servono a dare strumenti comuni a molti ricercatori.

Quale suggestione le viene in mente, pensando all’evento che NEST terrà il 19–20 febbraio 2026 a Roma, a Palazzo Rospigliosi?
Un evento di apertura che parla di futuro: l’inizio di una fase nuova per la Fondazione, un cambio di passo. In questi anni ci siamo allenati. Ora arrivano le nostre Olimpiadi della transizione energetica.