Le migliori ammonizioni di Gianluca Mancini

 

All’inizio di questa stagione Gianluca Mancini ha pubblicato sul suo profilo Instagram una foto di Roma-Udinese. Nella foto ha metà della faccia quasi interamente coperta di sangue, marchiata da un taglio profondo sullo zigomo da cui sgorga sangue come sul volto di una madonnina piangente. Ha sangue sulla palpebra, ha sangue sopra il naso, ha sangue nella bocca e pare andarne fiero. Una medaglia al valore da indossare con orgoglio, il simbolo del suo sacrificio in campo. Un uomo disposto letteralmente a dissanguarsi per la sua squadra.

 

D’altra parte, il suo stile di gioco danza sempre al limite tra la violenza implicita ed esplicita, e in quel momento quella violenza sgorga libera sul suo viso. Mancini ci ha giocato la partita, ha corso e contrastato con la faccia insanguinata ed è sembrato quasi dispiacergli, quando l’arbitro lo ha invitato a medicarsi. 

 

 

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La cicatrice gli è rimasta sulla faccia per qualche settimana, memento della sua presenza in campo, per lui e soprattutto per gli avversari, che in ogni partita devono avere a che fare con questo difensore vecchie maniere disposto a passare sopra i loro corpi per non farli segnare – e non in senso figurato. Si dice che i difensori contemporanei guardino troppo il pallone e poco gli avversari, troppo tecnici, troppo fichetti. Vittime loro malgrado dell’iper-esposizione visiva, del VAR, degli slow-mo, delle telecamere ravvicinate impietose verso qualsiasi scorrettezza. Ma Mancini è indifferente ai tempi che cambiano e a tutta la dimensione sanzionatoria. La conseguenza è un rapporto piuttosto estremo con i cartellini gialli.

 

Non c’è difensore in Europa più ammonito di Mancini, almeno se sommiamo ai 14 cartellini gialli presi in Serie A i 5 rimediati in Conference League. Mancini è primo per cartellini sia nell’una che nell’altra competizione. Primo per principio, ma anche perché oggettivamente nessuno è più bravo di lui a prendere un cartellino. Nessuno ci tiene quanto lui, nessuno ha la sua mentalità nell’inseguire la sanzione, che per lui forse è un trofeo.