La prima cosa che ama dire di sé è che ha sempre voluto fare la detective. “Da bambina, a New York, ero determinata a scoprire i segreti delle mummie del Museo di Storia Naturale”. Cresciuta nel Bronx, con i genitori e la sorella maggiore Judy, Claudia Goldin racconta con piacere che era una bimba allegra, piena di curiosità, attratta dal lato nascosto delle cose. “Quando, alle scuole medie, ho conosciuto il libro I cacciatori di Microbi di Paul de Kruif, ho scoperto una nuova vocazione: la batteriologia. E ho deciso che sarei diventata una cacciatrice di microrganismi!”. Cambierà idea e campo di indagine nuovamente quando, ancora un lungo salto temporale più in là, alla Cornell University – dove progettava di specializzarsi proprio in microbiologia – incontra il professore Alfred Kahn: Kahn non ha nulla a che fare con i microrganismi, è un economista dalla personalità eclettica e informale e possiede – Goldin lo fiuta subito – un talento riconosciuto nell’indagare, attraverso l’economia, il mondo sì per per come è, ma soprattutto per come potrebbe essere. Da quel momento, la passione per l’indagine che Goldin ha riposto fino ad allora nei frammenti di vita più piccoli dell’universo la traghetta definitivamente verso l’economia: “Avevo trovato la mia nuova specializzazione”, ha raccontato alla Commissione dell’Accademia reale svedese che, nel 2023, l’ha scelta per il Nobel dell’Economia. “Abbandonai il microscopio e trasferii il mio lavoro di investigazione in biblioteche, archivi polverosi e, molto più tardi, in grandi database elettronici”.
Perché il Premio Nobel a lei
Goldin è stata un’innovatrice, capace di intrecciare in maniera fino ad allora inedita i dati storici e statistici con la materia economica. Per gran parte della sua vita ha investigato sul lavoro femminile, sulle sue dinamiche, sui divari di genere, interrogando almeno due secoli di storia americana per cercare di capire cosa fosse successo (e succede ancora), ma soprattutto perché. “Ha ampliato la nostra comprensione dei risultati del mercato femminile”, è stata la motivazione con cui le è stato assegnato il Nobel per l’Economia. Il metodo Goldin ha agito scombussolando verità date per tali, ma mai compiutamente accertate: affamata com’era di prove di prima mano, l’economista ha scavato a oltranza dentro terreni esplorati appena in superficie o ancora vergini.

Le lavoratrici fantasma e il matrimonio
Negli anni Settanta, l’intuizione di Claudia Goldin, che allora insegnava all’Università di Princeton, fu di concentrare la sua ricerca dedicata al lavoro femminile sulle donne che non erano dentro il mercato del lavoro, bensì fuori: si trattava di una moltitudine di mogli e di madri che, improvvisamente, sparivano dalla statistica economica ufficiale. Le donne – scrive Goldin – erano presenti nei dati finché erano giovani e single e spesso anche quando erano vedove. Ma dopo il matrimonio, poiché non producevano beni e servizi in settori che erano inclusi nel calcolo del PIL, diventavano come fantasmi. Goldin costruì un instancabile lavoro di investigazione scovando, specie al Women’s Bureau, scatoloni di materiale statistico cartaceo mai veramente analizzato da nessuno prima. I dati raccontano storie, diceva, e io amo ascoltarle. In particolare, scoprì una serie di sondaggi e, tra questi, uno realizzato nel 1939 sui dipendenti di alcune aziende le fece prendere una pista di ricerca decisiva: il sondaggio raccoglieva domande molto esplicite rivolte ai dirigenti – ad esempio chiedeva se le donne sposate non venivano assunte e se le donne single venivano licenziate quando si sposavano – e le relative schiette risposte espresse dai dirigenti. Morale: Goldin misurò una diffusa ostilità aziendale verso le donne sposate che desideravano lavorare, le quali, di conseguenza, smisero via via di farlo.
La curva a “U” delle donne che lavorano
Claudia Goldin ha studiato in maniera approfondita le dinamiche sottostanti i grandi cambiamenti attraversati dalle donne nel mondo del lavoro, le cause delle discriminazioni di genere nel loro manifestarsi e nel loro resistere nel tempo. Di notevole valore è considerato lo studio sull’occupazione femminile nel tempo, che ha smentito l’idea che abbia seguito un aumento costante: Goldin ha scoperto, piuttosto, che il suo andamento ha compiuto una curva a U. Nell’economia agricola e preindustriale le donne partecipavano attivamente alla vita economica, perché il lavoro veniva svolto nei campi vicino a casa, così come nell’artigianato familiare. Con l’arrivo della rivoluzione industriale, il tasso di occupazione femminile è crollato, poiché era disdicevole che le donne lavorassero nelle fabbriche o queste ultime erano lontane: era stato l’affermarsi della famiglia come nucleo fondante della società e, al suo interno, del ruolo dominante dell’uomo come percettore del reddito a indurre le donne al ritiro domestico. Infine, l’occupazione delle donne ha ripreso a crescere con l’avvento della società dei servizi, con l’allargamento dell’istruzione e, soprattutto, con l’affermazione dei diritti femminili lungo il ‘900, che hanno dato spinta all’autodeterminazione delle donne e a nuove aspettative sul futuro.
Maternità e pillola: due storie esemplari
Nella sua monumentale opera di analisi e misurazione, Goldin ha anche analizzato le cause del divario salariale tra uomini e donne, dimostrando, cifre alla mano, che le aspettative delle giovani donne si formano sull’esperienza della generazione precedente, praticamente quella delle madri: se le madri hanno lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia, le figlie tenderanno a scegliere percorsi di studi meno grintosi e questi si rifletteranno su lavori e salari più poveri. E, tuttavia, l’economista provò che se in passato le differenze di salario tra i due generi erano la conseguenza di differenti livelli di istruzione, oggi che il livellamento educativo ha pressoché spianato le differenze il gender pay gap si spiega con la maternità: per prendersi cura dei figli le donne riducono il loro impegno lavorativo e le aspirazioni di carriera, il che, in un mondo che premia chi è disposto a lavorare per molte ore e in modo rigido, equivale a restringersi lo stipendio. Goldin ha anche dimostrato e misurato l’effetto della diffusione della pillola anticoncezionale sulle opportunità educative e professionali delle donne: poiché potevano gestire la fecondità e i tempi della maternità, avevano modo di pianificare l’esistenza in linea con i desideri e disegnare traiettorie di maggiore sviluppo per lo studio e la carriera.
Lei e il suo Golden Retriever
Claudia Goldin, sempre diretta, franca, simpatica, mai formale, si fa volentieri fotografare insieme ai suoi cani, al punto che l’academy svedese che le ha consegnato il Premio Nobel la ricorda con un’illustrazione in cui, vestita alla Sherlock Holmes, rovista nei cassetti assistita dal suo Golden. Così si è raccontata lei sul sito ufficiale dell’Accademia: “Ho iniziato la mia vita come una bambina curiosa e gioiosa nella più grande metropoli degli Stati Uniti. Eppure sapevo che mi mancava qualcosa. Ho trovato l’elemento mancante quando ho scoperto le Montagne Rocciose, i Wind River e le Cascate, e ho intrapreso lunghe escursioni con lo zaino in spalla attraverso terreni accidentati, trasportando tutta la mia attrezzatura e il cibo, correndo rischi in vari modi e facendo trekking con il mio cane Kelso (e altri compagni). Continuo a essere una naturalista, una birdwatcher e un addestratrice di cani. Kelso ha vissuto ben (quasi) 16 anni. Alla fine ho preso Prairie, che è morta di cancro a otto anni. Attualmente ho Pika, che è attiva a 13 anni e mezzo ed è un cane da terapia in una casa di cura locale. Ho iniziato il lavoro agonistico (obbedienza, rally, fiuto) con Prairie e ho continuato con Pika, che detiene titoli in fiuto competitivo. Sono felice che il comitato del premio e il disegno mi abbiano raffigurato con una lente d’ingrandimento, un cappello di Sherlock Holmes e un Golden Retriever. Ecco come vorrei essere ricordata: come un’economista detective con un cane obbediente al suo fianco”.