Linda Rottenberg, Endeavor: «Un unicorno che non alleva altri unicorni è solo una specie in via di estinzione»

Linda Rottenberg, Endeavor: «Un unicorno che non alleva altri unicorni è solo una specie in via di estinzione»

«Il successo per una azienda è solo metà della storia. L’altra metà è restituire alle generazioni future. Un unicorno che non alleva altri unicorni è solo una specie in via di estinzione». C’è una community globale che riunisce gli innovatori dei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Si chiama Endeavor, è un’organizzazione fondata da una donna anni fa e immaginata per la prima volta su un taxi. Lei è Linda Rottenberg, una delle più influenti imprenditrici e leader dell’innovazione globale. È cofounder e Ceo di Endeavor, rete globale no profit che supporta imprenditori ad alto impatto in più di 50 Paesi. Dal Brasile all’Uruguay. Dal Cile alla Grecia. Dall’Indonesia al Medio Oriente, dall’Ucraina (con un ufficio aperto nel 2024) all’Italia. «Cerchiamo di costruire l’effetto moltiplicatore. The Multiplier Effect. Quel processo con cui imprenditori di successo ispirano la generazione successiva di founder. Ne bastano 4: per accelerare enormemente un ecosistema e avere un impatto monumentale sui mercati in cui opera». Dice proprio cosi: “monumentale” . «Sono convinta che la creazione di posti di lavoro, l’innovazione e il benessere prosperino laddove c’è un solido supporto agli imprenditori ad alto impatto» spiega Rottenberg.

Linda Rottenberg Warsaw ISP 2025
Linda Rottenberg, Ceo Endeavor

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Più di 3mila imprenditori e 90 unicorni sono passati da Endeavor. Si parla di 90 miliardi di dollari di ricavi annuali e 4 milioni di posti di lavoro. La selezione per entrare è severissima. Un dato per tutti: dei 5mila candidati che si sono presentati globalmente nel 2023 solo 81 sono diventati Endeavor Entrepreneur. La selection rate è del 1,6%. «In Italia abbiamo selezionato 43 founder e 30 aziende ad alto impatto. Innovatori con grandi idee, capacità di scalare e voglia di ispirare le nuove generazioni» commenta Linda.

Endeavor ha basato tutta la sua filosofia sul Pay it forward, che significa qualcosa come “restituisci il favore e aiuta gli altri”. «Funziona così: fondatori di scaleup di grandissimo potenziale si auto sostengono, restituiscono e ispirano gli altri. E se la prima generazione crea imprese, la seconda crea ecosistemi»

L’organizzazione, senza scopo di lucro, è autosufficiente e in grado di sostenersi. Chi viene supportato a sua volta offre mentorship, feedback e consigli “been-there-done-that” agli altri

In Italia Endeavor, che nel 2026 compie 10 anni di presenza, ha supportato aziende come Bending Spoons, Satispay, Unobravo, Shop Circle, D-Orbit, Moneyfarm, Hlpy, WSense, Habyt. Il country manager è Marco Rampazzo, Pietro Sella è il presidente. 

«Siamo diventati uno dei Paesi più forti all’interno di Endeavor. I talenti iniziano a rimanere in Italia, qualcuno ritorna, gli investitori internazionali bussano alle nostre porte e investono. Se sei una scaleup ad alto potenziale in Italia, sei con noi» commenta Rampazzo. Grazie a un programma interno, che si chiama Elevator (si è appena conclusa la call), le early scale-up più promettenti vengono aiutate a crescere e a raggiungere più velocemente il target di selezione di Endeavor.

Autrice di bestseller, protagonista di diverse case study di business nelle migliori scuole (Harvard, Stanford), Linda Rottenberg siede nei consigli di amministrazione di numerose società quotate. Nel 2015 la sua organizzazione hanno vinto il Premio Henry R. Kravis per la Nonprofit Leadership, considerato una sorta di Premio Nobel per il settore no-profit. Nel 2018 Linda ha vinto il prestigioso Heinz Award nella categoria Technology, the Economy and Employment. 

Linda Rottenberg Warsaw 2025

Lei è un’avvocata, figlia di avvocati. La sua vita era già scritta. Poi un gap year cambia completamente la sua visione del mondo…. 
«Sono cresciuta in una famiglia tradizionale fuori Boston. I miei genitori erano innamorati tra loro fin dall’infanzia. Orientati alla famiglia, amorevoli e molto avversi al rischio. Questa educazione tradizionale mi ha contagiato, almeno all’inizio. Mi sono specializzata in Studi Sociali all’Harvard College e, dopo la laurea, sono andata alla Yale Law School. A un certo punto, però, sono scesa dal tapis roulant di quella vita già scritta. Non avevo alcun interesse a diventare avvocato, consulente o investment banker…»

Così prende un anno sabbatico e vola in America Latina…
«Volevo capire cosa fare del mio futuro. Una volta a Buenos Aires ho fatto di tutto per evitare un “lavoro vero”. Seguivo progetti diversi, ma alla fine ho assunto un ruolo in Ashoka, un’organizzazione senza scopo di lucro, pioniera dell’imprenditoria sociale. E qui ho iniziato a riflettere sull’importanza dell’impresa». 

Poi una corsa in taxi le cambia la vita…
«Sì. Il mio tassista, un ingegnere di formazione, quel giorno mi disse che in America Latina non c’era altro lavoro per lui. Mi sono detta: come è possibile? Era l’era di Yahoo!, delle IPO di Netscape, del ritorno di Steve Jobs alla Apple. Il 1996. Ho provato a cercare una parola spagnola per imprenditore, continuavo a pensare a “empresario”. Ma il termine, usato per i grandi uomini d’affari, non era adatto. In spagnolo, secondo il mio tassista, non c’è una parola per intendere persone “folli” come Steve Jobs, Michael Dell e Bill Gates. Gente che lancia aziende innovative, focalizzate sulla tecnologia. Quel giorno è nato un seme che ha messo in moto il mio cervello. Sono tornata a New York e nel 1997, seduta in un bar con Peter Kellner, ho scritto il business plan di Endeavor. L’idea alla base: supportare imprenditori ad alto potenziale nei mercati emergenti e più deboli di tutto il mondo». 

E poi?
«Peter ha messo il capitale iniziale: 200 mila dollari. A quel punto io ho iniziato la ricerca di finanziatori seed per eguagliare la stessa cifra di Peter ma è stato molto difficile. A luglio 1998, la svolta, il magnate immobiliare argentino Eduardo Elsztain mi ha concesso 10 minuti del suo tempo…»

E cosa è successo in quell’incontro?
«Sapevo poco di lui, se non che tra i suoi sostenitori c’era George Soros, il più grande proprietario terriero dell’Argentina. Durante l’incontro, allo scadere del quinto minuto, Eduardo guarda l’orologio e dice: “Ok, Ho capito. Vuoi che ti presenti Soros”. La mia risposta è stata dura e sfacciata: “No, io sono un’imprenditrice, tu sei un imprenditore. Endeavor nasce per gli imprenditori. Voglio il tuo tempo, la tua passione e 200mila dollari!” Eduardo si rivolge al collega e dice: “Esta chica esta loca!” (Questa ragazza è pazza). Sapevo lo spagnolo, ho capito e risposto in spagnolo: “Eduardo, estoy muy decepcionada”. “Sono molto delusa”. Proprio tu che sei entrato nell’ufficio di Soros e uscito con 10 milioni di dollari mi rispondi cosi? Sei fortunato, te ne ho chiesti solo 200mila dollari!». A questo punto Eduardo esce dalla stanza. Scompare. Mi sentivo finita, rovinata. Invece lui torna, ha in mano il libretto degli assegni, e di colpo ne stacca uno da oltre 200 mila dollari! Endeavor è nata così. È cresciuta senza mai guardarsi indietro. E sai qual è la cosa bella?».

Linda Rottenberg Endeavor MoS Square

Ci racconti…
«Eduardo considera questa sua precoce scommessa come il miglior investimento che abbia mai fatto».

Perché è così importante l’imprenditoria in una società?
«Il talento è ovunque. L’opportunità no. Siamo qui per mettere in luce i fondatori che costruiscono aziende straordinarie in ogni parte del mondo. Gli imprenditori ad alto impatto trasformano le economie. Per costruire ecosistemi imprenditoriali forti nei mercati emergenti creiamo quell’effetto moltiplicatore: spingiamo gli imprenditori a sognare in grande, investendo in loro perché scalino più velocemente, e poi aiutino gli altri. Endeavor non crea imprenditorialità: quella esiste già in ogni paese e in ogni mercato del mondo. Noi miglioriamo le condizioni in cui l’innovazione possa prosperare»

Perché supportate le scaleup e non le startup?
«Tutti amano le startup, ma la prova vera è crescere. È scalare. Esistono inoltre innumerevoli organizzazioni – incubatori, acceleratori, YCombinator – che supportano fondatori e team di startup. Ma dove va poi chi completa questi programmi? A chi si rivolge per il know-how necessario per portare un’azienda da 10 a 100 o 1000 dipendenti? A quali reti attingono per finanziamenti di serie A/B/C, in particolare nei mercati in cui questi round sono scarsi? Su chi possono fare affidamento quando le felici relazioni iniziali (con cofounder, gli investitori, i partner, ecc.) si inaspriscono o si sgretolano? È in questo gap che entra in gioco Endeavor. Quando i fondatori raggiungono la fase di scaleup, ma devono ancora affrontare una strada lunga e in salita, hanno bisogno di una nuova serie di ambiziosi colleghi e mentori a cui rivolgersi. Ecco perché creare una rete globale di “scalers” è così importante e gratificante. Come mi piace dire, un unicorno che non alleva altri unicorni è solo una specie in via di estinzione». 

Conosce direttamente il mercato italiano? 
«Sì. E ho notato la grande crescita dell’ecosistema italiano. È stato un privilegio supportare incredibili fondatori di aziende come Talent Garden, D-Orbit, Bending Spoons, Casavo, OneTray, MoneyFarm, Satispay, Unobravo, xFarm e tanti altri. C’è ancora molto da fare. l’Italia oggi è dove si trovava la Spagna qualche anno fa in termini di valore d’impresa di tutte le startup dell’ecosistema. A oggi l’ecosistema italiano vale qualcosa come 60 miliardi di euro contro i 100 miliardi della Spagna. Ma qualcosa sta cambiando e ora sta attraendo i migliori VC europei e internazionali. Personalmente mi piacerebbe vedere più VC di altissimo livello (Tier 1 globali e locali) apparire nei capitali azionari delle startup italiane. E vorrei vedere più founder donne ad alta crescita e ad alto impatto. Ma il momento di svolta è ora». 

Lei ha spesso parlato di diversi tipi di imprenditori e dell’importanza di riconoscere la propria natura…
«Noi abbiamo sviluppato una classificazione per identificare le imprese ad alto impatto e potenziale di crescita. Ci sono i DIAMONDS: sono aziende solide e consolidate  I ROCKET SHIPS:  startup e scaleup ad altissima crescita; i TRANSFORMERS sono imprese che riescono a cambiare radicalmente i mercati in cui operano attraverso innovazioni profonde; E le STARS aziende emergenti che promettono bene…»

Ricordo che nel suo libro, “Crazy is a compliment”, lei aveva definito gli imprenditori Gazzelle, farfalle, puzzole, delfini. Vale ancora questa definizione?
«Sì. A metà degli anni ’80 l’economista David Birch classificò come gazzelle le società le cui vendite raddoppiano ogni quattro anni. Sebbene solo il 2-4% delle aziende corrisponda effettivamente a questa descrizione, le gazzelle sono per noi imprenditori che si occupano di tecnologia, come Steve Jobs e Mark Zuckerberg, Gli imprenditori di Endeavor sono gazzelle e alcuni di voi che ci stanno leggendo prenderanno questa stessa strada. 

Linda Rottenberg Warsaw ISP 1

Chi sono invece le “puzzole”?
«Sono gli  “intrapreneurs”, i  disruptors all’interno delle aziende Le puzzole fanno di tutto per “impuzzolire” con l’innovazione le aziende dall’interno. Oggi il lavoro non è più sicuro per nessuno. Chi sta pensando di accettare un lavoro in una grande azienda, banca o società di consulenza, dovrebbe affinare le tue abilità da puzzola»

E perché ha definito gli imprenditori sociali delfini?
«Ho scelto i “delfini” perché sono tra gli animali più intelligenti e altruisti e perché hanno bisogno di fare più scalpore in questi settori più deboli. Nel mondo sono ancora pochi». 

E poi ci sono le farfalle?
«L’ultima specie rappresenta gli imprenditori piccoli. Possono essere ditte individuali o imprese con pochi dipendenti. Su milioni di aziende che impiegano lavoratori negli Stati Uniti, il 90% ha meno di 20 dipendenti. Questo vale anche per mercati come l’Italia. Ho soprannominato questo gruppo “farfalle” perché sono variegate e individualiste, create da persone mirano principalmente alla libertà». 

In un’intervista uscita nei giorni scorsi su Entrepreneur Middle East, lei parla invece degli investitori, definendoli in alcuni casi “turisti”…
«Durante i cicli di boom, arrivano gli investitori turisti: quelli che si presentano quando va tutto bene e spariscono quando le cose si raffreddano. Ciò di cui abbiamo davvero bisogno sono investitori costruttori. Persone che hanno costruito aziende loro stesse. La prima generazione crea imprese, la seconda crea ecosistemi».

Un messaggio per chi ci sta leggendo…?
«Donare tempo, competenze e ispirazione non è mai a senso unico: chi dà, spesso riceve molto più di quanto si aspetti».