Nella corsa alla Luna non si butta via niente: Bezos come Musk punta sul riciclo. Ma l’ambiente c’entra poco

Nella corsa alla Luna non si butta via niente: Bezos come Musk punta sul riciclo. Ma l’ambiente c’entra poco

Il 13 novembre, Blue Origin, la compagnia spaziale fondata da Jeff Bezos nel 2000, ha lanciato con successo la missione NASA ESCAPADE (per Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorer) diretta a Marte dove studierà le interazioni tra vento solare e la tenue atmosfera del pianeta rosso. Blue Origin, che effettuava il secondo lancio del suo potente New Glenn, aveva offerto alla NASA il lancio ad appena 20 milioni di dollari, un prezzo di saldo spiegabile con la volontà della compagnia di dimostrare le capacità del suo lanciatore ed accreditarsi con un cliente importante. Tuttavia, non è stato il lancio della missione marziana a fare notizia. Quello che ha colpito di più i commentatori è stato il recupero del primo stadio del razzo New Glenn che, 3 minuti dopo il lancio si è staccato per effettuare la manovra del rientro controllato andando ad atterrare sulla piattaforma Jacklyn che lo aspettava nell’oceano Atlantico.

L’attenzione mediatica è facilmente spiegabile: Blue Origin è la prima compagnia spaziale ad essere riuscita a fare con successo la manovra del rientro del primo stadio del lanciatore messa a punto da SpaceX giusto 10 anni fa. È un traguardo fondamentale perché il recupero ed il riutilizzo del primo stadio dei lanciatori è diventato la base del successo di una compagnia che li produce.

Per capire le ragioni di questa rivoluzione, bisogna considerare che, per spingere un carico nello spazio, occorrono motori che liberino energia chimica per vincere la forza di gravità. La prima parte del viaggio, quando il razzo di stacca da terra, è quella che richiede più energia, quindi numerosi motori potenti e serbatoi capienti. Pochi minuti dopo il decollo, il primo stadio ha finito il suo lavoro e viene staccato e lasciato cadere verso terra, che arrivi sull’acqua o sulla terra il risultato è sempre la sua distruzione. Per effettuare un nuovo lancio occorrerà ricostruire totalmente il lanciatore, un approccio costoso sia dal punto di vista finanziario sia dal punto di vista logistico, il primo stadio è complesso e costruirlo richiede tempo.

patrizia caraveo spazio al futuro 1

Per superare la filosofia dell’usa e getta, la NASA aveva sviluppato lo Space Shuttle, un aereo spaziale capace di atterrare per essere riutilizzato. Oltre che per avere grande capacità di carico, lo Shuttle era stato progettato per permettere la manutenzione di satelliti in orbita. Con il suo braccio meccanico poteva catturare satelliti per permettere agli astronauti di andare a sostituire le parti che si erano guastate. Se lo Hubble Space Telescope, a 35 anni dal lancio, è ancora operativo deve dire grazie alle 5 missioni di riparazione fatte dallo Shuttle dal 1993 al 2009. Nonostante i successi, però, lo Shuttle era una macchina molto complicata e, dopo ogni atterraggio, doveva essere sottoposto a lunghi controlli, una procedura complessa che ha impedito di abbassare i costi dell’accesso allo spazio e di aumentare la cadenza dei lanci. Per questo, una volta terminata la costruzione della stazione spaziale internazionale, il programma è stato chiuso e l’usa e getta è tornato in auge.

BlueOrigin NewShepard LaunchPadCheck
Jeff Bezos in posa davanti a un razzo Blue Origin

Un approccio dispendioso che veniva dato per scontato da tutte le industrie del settore ad eccezione di SpaceX, fondata nel 2002 da Elon Musk proprio per abbassare i costi di accesso allo spazio. Mentre gli ingegneri cercavano di fare volare il Falcon9, Musk si chiedeva come fare a recuperare il primo stadio che, con i suoi nove motori Merlin è la parte più costosa del lanciatore. L’idea di fare rientrare in modo controllato il primo stadio e farlo atterrare integro su una chiatta è stata presa in giro dai concorrenti e di sicuro ha richiesto decisioni coraggiose. Tuttavia pochi tentativi sono bastati per mettere a punto la manovra fatta con successo nel dicembre 2015 ed ora diventata parte integrante della procedura dei lanci di SpaceX.

All’inizio, gli stadi recuperati erano sottoposti a test accurati perché nessuno era pronto a scommettere che la struttura potesse sopportare diversi lanci. Ora tutto è più rapido e tra il rientro ed il nuovo lancio passano non più di una ventina di giorni. Inizialmente non è stato facile trovare clienti che accettassero di volare con un razzo usato, adesso il riutilizzo è la norma e alcuni primi stadi hanno già fatto oltre 30 lanci. Così facendo SpaceX ha raggiunto una frequenza di lancio mai nemmeno sognata nel mondo spaziale diventando il dominatore del mercato. Con tre rampe di lancio (2 a Cape Canaveral e 1 a Vandenberg) fa in media 3 o 4 lanci alla settimana con picchi di due lanci nello stesso giorno. L’anno scorso SpaceX ha effettuato la metà del gran totale dei lanci a livello mondiale. Nessun concorrente riesce a tenere il loro ritmo e nemmeno i loro prezzi perché il riutilizzo velocizza i tempi e taglia i costi.

space economy
Il lancio di un razzo SpaceX

New Glenn è l’unico lanciatore che ha dimostrato di avere imparato la lezione di SpaceX e, sulla base del successo del 13 novembre, in molti dicono che Jeff Bezos sia il concorrente più accreditato per rompere il monopolio spaziale di SpaceX. Pur non avendo particolare simpatia per Elon Musk (come ho dimostrato con i miei libri Ecologia Spaziale e Il cielo è di tutti), mi permetto di dissentire.

Due giorni dopo l’exploit di New Glenn, SpaceX ha lanciato due Falcon 9 dalle sue due rampe a Cape Canaveral a meno di 4 ore di distanza l’uno dall’altro. In entrambi i casi il primo stadio è stato recuperato, in un caso era all’ottavo utilizzo, nell’altro al 24esimo. Con i lanci del 15 novembre SpaceX è arrivato ad un totale di 571 voli del vettore Falcon con 531 recuperi. Per la cronaca, Space X recupera e riutilizza anche le ogive che proteggono il carico e Musk sostiene che il valore totale di primo stadio e ogive è circa l’80% del costa del lanciatore.

I due lanci SpaceX hanno messo in orbita 29 Starlink ciascuno, portando il totale in orbita a 9.000 satelliti. Quando si fanno paragoni tra Blue Origin (fondata nel 2000) e SpaceX (fondata nel 2002) questi sono i numeri da considerare: due lanci riusciti di New Glenn contro 574 (571 dei quali di successo) dei Falcon, un rientro di New Glenn contro 531 dei Falcon, ben 150 satelliti in orbita per la costellazione Amazon Leo contro 9000 di Starlink.

elon musk spacex
Elon Musk

Questa infografica dà un’idea del percorso di SpaceX perché non bisogna dimenticare che SpaceX monopolizza anche il trasporto degli astronauti alla ISS. In questo campo il concorrente dovrebbe essere Boeing ma la disastrosa prova di Starliner l’anno scorso ha messo in chiaro che se la NASA vuole trasportare astronauti sulla ISS la compagnia da usare è SpaceX.

Ovviamente non si può non pensare che quando ha fondato Blue Origin Jeff Bezos era molto più ricco di Musk. Adesso le parti si sono invertite, ma le rivalità rimangono e potrebbero trovare il prossimo banco di prova nella nuova corsa alla Luna dove la NASA si gioca la supremazia spaziale con la Cina. Secondo i piani attuali della NASA, l’allunaggio dipende da SpaceX che, con il programma Starship, deve fornire il servizio di trasferimento dell’equipaggio dall’orbita lunare, dove arriverà con la capsula Orion, fino al suolo, dove la navicella Starship fungerà da base lunare per i visitatori, per poi decollare riportando gli astronauti in orbita pronti a trasferirsi nella capsula Orion per il viaggio di ritorno.

La scelta della NASA di affidarsi a SpaceX per l’allunaggio di Artemis III era stata duramente critica da Bezos che aveva anche fatto causa all’agenzia che era stata poi costretta a dare un contratto anche a Blue Origin per il lander della missione Artemis successiva. Il 3 settembre, durante una audizione davanti al Senato, importanti esponenti del mondo spaziale americano hanno dichiarato che è altamente improbabile che la NASA arrivi sulla Luna prima della Cina a causa della complessità della missione che coinvolge SpaceX con Starship.

sean duffy
Sean Duffy, amministrazione facente funzioni della NASA

L’amministratore facente funzioni della NASA, Sean Duffy, ha chiamato a raccolta tutte le ditte americane disposte a sottoscrivere contratti che garantiscano che gli USA avranno astronauti sulla Luna prima del 20 gennaio 2029, quando terminerà il mandato del Presidente Trump. Una mossa che tradisce nervosismo e che ha suscitato veementi proteste da parte di Elon Musk. Bollando Sean Duffy come Sean Dummy, Musk ha dichiarato che SpaceX è più avanti di tutti e ha un contratto che intende onorare.

Tuttavia, sia SpaceX sia Blue Origin, forti della loro esperienza con i lander lunari, si sono fatte aventi con soluzioni semplificate. Sarà Jared Isaacman, vecchio amico di Musk recentemente tornato in auge per la posizione di amministratore della NASA, a decidere a chi affidare il compito di vincere la corsa alla Luna.