Nel 2025, gli investimenti in equity in startup e scaleup hi-tech italiane si attestano a 1,456 miliardi di euro: +2,8% rispetto all’anno precedente. Una tenuta, sì. Ma anche un segnale chiaro: siamo fermi. Nessun crollo, ma nemmeno quel salto di scala che da anni tutti auspichiamo.
La fotografia del mondo startup scattata dal PoliMi
Il nostro Osservatorio è nato 14 anni fa per misurare e raccontare l’evoluzione dell’ecosistema italiano. Oggi potrei dire provocatoriamente che dirigo un “osservatorio morto”. Perché questo è un momento di stallo strutturale. Un equilibrio stagnante, in cui mancano i capitali che consentirebbero alle startup ad alto potenziale di scalare.
Gli investitori formali – i fondi VC indipendenti, corporate e pubblici – restano la colonna portante del sistema, ma non crescono. Gli attori informali calano, in quanto l’investimento in startup è inviso agli investitori occasionali avversi al rischio; e, nel contempo, per chi il rischio lo ama, è meno affascinante e “di moda” rispetto ad altre alternative. E anche se gli investimenti internazionali aumentano (+8%), restano appannaggio di pochi campioni come Bending Spoons. Soprattutto, mancano all’appello le exit strutturali. Un ecosistema senza exit è un sistema che non si rigenera.

Il confronto europeo ci restituisce una realtà impietosa: restiamo a un quarto della Francia e sotto la Spagna per capitali raccolti. I nostri fondi sono troppo piccoli. Le nostre scaleup sono troppo isolate. Il capitale internazionale arriva, ma non basta. Serve un’azione sistemica e coraggiosa.
Il problema non è la scarsità di idee. L’Italia ha talento, ha ricerca, ha deep tech. E infatti, 11 delle 15 startup più finanziate nel 2025 operano proprio in questo ambito: spazio, biotech, clean tech, nuovi materiali. Ma è tempo di dirlo con chiarezza: senza investimenti pazienti, senza infrastrutture solide, senza percorsi chiari verso l’uscita, tutto questo potenziale rischia di spegnersi prima di diventare impresa.
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Cosa serve, allora? Tre cose. Anzitutto supporto istituzionale ai fondi domestici, per renderli più grandi e specializzati, capaci di seguire le startup nel percorso verso la scaleup, anche con ticket consistenti. Occorre poi una integrazione vera tra ricerca e impresa, per far emergere innovazione nei settori ad alto impatto e lungo ciclo di sviluppo, come il deep tech. Infine, si ha bisogno di una strategia nazionale ed europea coerente, con regole armonizzate e strumenti come il “28th Regime” per ridurre la frammentazione normativa e attrarre investimenti transfrontalieri.
E serve anche un cambio culturale. Dobbiamo smettere di vedere le startup in contrapposizione con l’imprenditorialità “vecchio stampo” ed acquisire la consapevolezza che, in Italia, vantiamo già filiere digital e deep tech con competenze fortissime da coltivare. Forse per la prima volta dal 2012 iniziamo ad avere una “nidiata” di scaleup su cui costruire la nostra crescita futura.

Come Osservatorio, cercheremo di fare la nostra parte. Offrendo dati affidabili, raccontando storie virtuose (ma anche fallimenti, per trarne un insegnamento) e accendendo i riflettori sugli nodi strategici e imprenditoriali. L’ecosistema può ancora fare un salto. Ma il tempo dell’indecisione è finito.