Vista da dove siamo, tra le urla festose di una partita e il vociare affannato dei ragazzi, Nisida sembra quasi un campus estivo. Sul campo si gioca prima a rugby, poi a calcio. È solo alzando lo sguardo oltre la rete che si intravedono le mura alte, i cancelli, le divise. Siamo all’Istituto Penale per i Minorenni di Napoli, ma oggi, con il sole che picchia e i sorrisi che si incrociano, l’aria è quella di una giornata di speranza e gioia.
Dal 30 giugno al 4 luglio, il carcere minorile di Nisida ha ospitato una nuova edizione, la nona in Italia e la seconda a Napoli, dello Sport Camp organizzato dal Gruppo Mediobanca e la guida carismatica di Diego Dominguez, ex capitano della Nazionale italiana di rugby. L’iniziativa coinvolge circa 80 giovani tra i 14 e i 24 anni in giornate intense di attività sportive, momenti di socialità e percorsi formativi. Un progetto di rieducazione e inclusione che parte dal corpo per arrivare alla mente.
Diego Dominguez: «Non cerchiamo campioni, ma voglia di riscatto»
È lui, Diego Dominguez, uno degli attori di questo progetto. Lo si vede ovunque: sul campo, a bordo campo, a mischiarsi tra i ragazzi. A fine allenamento li raduna e grida: «Voglia e costanza!» Un mantra, una promessa, una visione.
«Quello che ci tengo a sottolineare è la sensibilità del Gruppo Mediobanca», racconta Dominguez a Startupitalia, «che da quasi dieci anni sostiene questi progetti nelle carceri minorili. Qui non veniamo a cercare talenti, ma a trasmettere le regole dello sport e un atteggiamento positivo verso la vita. È un’esperienza forte, ma necessaria».
Lo svolgersi dell’evento è semplice ma potente, allo stesso tempo. Una settimana prima dell’inizio, lo staff e i volontari entrano nell’istituto per pulire e sistemare le strutture insieme ai ragazzi. È il primo gesto di condivisione. Poi cominciano le attività: rugby, calcio, pallanuoto, basket. «Alcuni dei ragazzi più meritevoli affrontano un periodo di prova in una squadra di rugby locale. Mediobanca ci dà la possibilità di seguire alcuni di loro anche fuori, per percorsi di reinserimento. È un gesto concreto che può cambiare una vita. Chi riesce a mantenere impegno e costanza, può ottenere benefici reali, come l’accesso a misure di semilibertà. Alcuni ce la fanno, altri ricadono, ma il bilancio di questi anni resta positivo».

I volontari di Mediobanca: «Qui riceviamo più di quanto diamo»
In mezzo al campo, tra le pettorine colorate, ci sono anche loro: i volontari di Mediobanca. Alcuni sono alla seconda esperienza, altri hanno già chiesto di poter tornare il prossimo anno. Perché qui, dicono, si impara a guardare le cose da una prospettiva diversa.
Marco Petrilli, napoletano, lo dice con la voce che tradisce le sue emozioni: «Questa è la mia seconda volta a Nisida. Ho chiesto io di tornare, perché la scorsa esperienza mi ha segnato. I ragazzi sono molto aperti, si percepisce forte la loro voglia di riscatto. Sotto un sole cocente, lavorano in gruppo, si sostengono. I valori dello sport sono vincenti, qui più che mai».
Anche Giancarlo Esposito ha scelto di esserci: «Sono cresciuto in un contesto simile a quello di alcuni di questi ragazzi. Ogni volta che vengo qui, torno a casa arricchito. È paradossale: siamo noi che dovremmo dare qualcosa, ma spesso sono loro a dare più a noi».
Francesco Fortunato parla dell’energia che si respira sul campo: «Questa volta l’interazione con i ragazzi è stata ancora più diretta. Mi ha colpito la loro correttezza, la disponibilità con cui giocano e si mettono in gioco. Mi hanno dato molto, in termini umani. È qualcosa che resta».

«La detenzione non deve essere un parcheggio»
A credere fortemente nel progetto è anche l’amministrazione dell’IPM. Ignazio Gasperini, che svolge le funzioni di vicedirettore, ci accoglie nel suo ufficio con parole nette e cariche di significato: «Lavoro qui da oltre trent’anni. Da sempre, il nostro obiettivo è fare in modo che la detenzione non sia un’area di parcheggio. Dobbiamo offrire opportunità alternative».
Gasperini sottolinea la complessità del contesto: «Lavoriamo con ragazzi che spesso hanno già sperimentato fallimenti e recidive. Il nostro compito è arduo, ma il dovere costituzionale resta: tendere al recupero, agire sulla coscienza dei giovani, farli riflettere sul proprio stile di vita».
L’istituto ospita oggi 80 ragazzi. «Le attività trattamentali devono fondarsi sui bisogni educativi e psicologici. Solo così possiamo sperare in una vera inclusione sociale».
Sono tante le professionalità coinvolte nel progetto, come Francesca Siano, pedagogista dell’Istituto che ha accompagnato i ragazzi anche in questa esperienza: «Questa è un’attività che i ragazzi attendono per tutto l’anno. Anche quest’anno abbiamo registrato un’adesione altissima, con una percentuale di assenze davvero minima. La professionalità di Diego e del suo staff si è manifestata in ogni dettaglio, anche nei completini forniti ai ragazzi, contribuendo ad accrescere l’entusiasmo generale. Lo sport si conferma ancora una volta uno strumento prezioso di integrazione e recupero, e questa edizione ne è stata la dimostrazione. Il gioco di squadra, infatti, ha aiutato i ragazzi a distendere le tensioni e a rafforzare i legami tra loro».

Il terzo tempo della fiducia
Come nel rugby anche a Nisida il “terzo tempo”, che si svolge nell’ultimo giorno del Campus, ha un valore speciale. Non è solo la festa dopo il gioco, ma il momento in cui si annodano i fili invisibili della fiducia. Si mangia un gelato, si ascolta musica, si ride insieme.
«Lavoriamo duramente – racconta ancora Dominguez – e chiediamo molto ai ragazzi e anche a noi stessi. Vogliamo che passino la settimana più bella dell’anno con noi. Mattina e pomeriggio si allenano, fanno un percorso. E alla fine, il terzo tempo celebra il loro impegno.
Quando il Camp finisce, restano i muscoli affaticati e i volti arrossati dal sole. Ma resta anche qualcosa di più profondo: l’idea che un’alternativa è possibile.
Non basta per cambiare tutto. Ma è un inizio. E a volte, un inizio può bastare.